La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari, Roberto racconta la dolorosa scomparsa della sua bimba di due anni

di Giovanni Bua
La donazione della bilancia all'Aou e, nel riquadro, la piccola Chiara
La donazione della bilancia all'Aou e, nel riquadro, la piccola Chiara

«Aveva una sindrome rarissima, ci ha insegnato il valore della solidarietà: l’ultimo dono di Chiara il mio angelo guerriero»

15 dicembre 2018
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SASSARI. «Erano le 5.08 del primo settembre. Un sabato. E Chiara era stretta tra le nostre braccia, mentre faceva il suo ultimo, piccolo, respiro». È un sussurro dolce e disperato quello di Roberto Catanzaro, pieno di quella forza che ti rimane dopo due anni passati a combattere, senza stanchezza. Rotto da quel dolore che sai già che non passerà, mai.

Chiara era sua figlia, morta un sabato mattina in una stanza del reparto infettivi della clinica pediatrica dell’Aou, a cui Roberto e Denise, che con i familiari gestiscono i due negozi di frutta e verdura “Fruttolandia”, hanno donato una bilancia iper tecnologica e tre apparecchi per l’aerosol. «Ci siamo accorti – spiega – che a mancare in questi reparti popolati di piccoli eroi spesso sono le piccole cose. Ne abbiamo portato alcune, torneremo ancora».

Chiara era nata due anni fa senza timo, una ghiandola del sistema linfatico che permette la maturazione dei linfociti T, globuli bianchi fondamentali per il sistema immunitario. E da allora la piccola guerriera ha passato la sua vita chiusa in una “bolla”. «La sua – racconta Roberto – era una sindrome rarissima. Il suo organismo era incapace di difendersi da qualsiasi agente infettivo, anche quelli più innocui. Dopo i primi giorni ci siamo subito resi conto che qualcosa non andava. E abbiamo portato Chiara all’ospedale del Bambino di Brescia, il centro di riferimento per il trapianto di midollo osseo pediatrico».

L’unica speranza è infatti trapiantare un nuovo “timo”, ma un intervento del genere non è mai stato tentato in Europa su una neonata. E i precedenti, per sindromi diverse, si contano nel mondo sulle dita di una mano. Da Londra però arriva una chiamata. «Al Great Ormond Street Hospital – spiega il padre – erano disposti a tentare l’intervento. Per la prima volta c’era una speranza».

Chiara viene operata, e dopo il trapianto e la convalescenza a Brescia, nel gennaio del 2017 torna a casa. «Nessuno la poteva vedere – racconta Roberto – tutti gli ambienti erano sterili, io e la madre ci alternavamo, cercando di non far mancare niente ai suoi fratellini Martina e Mario. Ma Chiara era a casa, finalmente. Cresceva, giocava con noi. Era normale e meravigliosa».

Purtroppo però la sorte non è ancora sazia. E Roberto e Denise sono costretti a indossare un’altra volta la corazza sopra i loro cuori fragili come la carta velina. «L’organismo di Chiara rifiutava il trapianto. Per mesi abbiamo fatto su e giù da Londra. Poi da ottobre del 2017 siamo rimasti lì, di nuovo dentro la “bolla”».

Roberto e Denise si trasferiscono, affittano un monolocale fuori dall’ospedale, dove, a turno, passano ogni secondo. «Chiara cresceva – ricorda Roberto – guardando fuori dalla sua stanza. A volte vedeva passare qualche paziente, piccolo come lei. Chiedeva di uscire. Riempivamo la sua giornata di giochi, colori, passatempi. E il nostro cuore di speranza».

Speranza che è quella di un nuovo trapianto. Ma Chiara è una guerriera di cristallo. E un semplice fungo, respirato nell’aria, la attacca senza pietà. «Il 13 agosto abbiamo capito che non c’era più niente da fare. Abbiamo chiesto di tornare a casa. Non poteva finire tutto in una lontana stanza di ospedale».

Le ore sono contate, ma la burocrazia non ha cuore. «Non si riusciva a organizzare un trasporto. Il 23 agosto abbiamo affittato una aeroambulanza privata». Costa 25mila euro, ma per Stefano e Denise i soldi non contano, non perché ne abbiano più degli altri, ma perché in questo drammatico viaggio hanno avuto tempo per rimettere ordine nei loro valori. «Le nostre famiglie si sono strette intorno a noi – spiega – per tutto questo tempo. Siamo stati fortunati, e in questo tempo abbiamo anche cercato di aiutare le tante persone che non lo erano come noi. Perché certe cose vanno fatte, e non possono essere i soldi che mancano a fermarti».

Chiara arriva a Sassari, non può andare a casa, e la clinica pediatrica di Sassari, che ben conosce la sua storia, la accoglie. «Aveva due anni, e finalmente aveva potuto conoscere i suoi parenti, che tanto l’avevano amata, ma mai potuta conoscere. Ci hanno concesso di trasformare un’ala della clinica in una piccola casa. Dove accompagnarla tutti insieme nel suo ultimo tratto di cammino. Non li ringrazierò mai abbastanza per questo». Poi quel sabato mattina, i respiri, corti, faticosi. I due genitori che l’abbracciano. La fine e il nuovo inizio. «Perché Chiara è sempre nei nostri occhi, nei nostri pensieri, nei nostri cuori. E in quelli dei fratellini, degli zii, dei nonni, dei piccoli guerrieri come lei. Che aiuteremo in ogni modo. Per onorare la sua battaglia, il suo coraggio, la sua piccola e gigantesca vita».


 

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