La Nuova Sardegna

Sassari

Una dolce rimpatriata tra ricordi e torrone

di Barbara Mastino
Una dolce rimpatriata tra ricordi e torrone

Giulio, Antonio, Nino, Nanni e Tore partirono negli anni 60 per cercare lavoro A Fiorano, Maranello e in Svizzera una nuova vita ma con il cuore nell’isola

17 ottobre 2019
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OZIERI. C’è chi il mal di Sardegna se lo porta dentro per sempre e c’è chi invece non ce la fa e decide di tornare, una volta raggiunta l’età della meritata pensione. È il caso di Giulio e Antonio di Ozieri, emigrati a Fiorano negli anni ’60, e di Tore, Nino e Nanni, di Oschiri, ritrovatisi nei giorni scorsi per un’allegra rimpatriata ospiti del “mitico” torronaio Filippo Corveddu. Un incontro avvenuto davanti a un croccante maialetto e a un buon bicchiere di vino, che ha dato il via a un fiume di ricordi che iniziano dagli anni Sessanta, quando da una Sardegna non ancora risorta dalla guerra partì una massiccia migrazione, non molto diversa da quella attuale.

Giulio e Antonio partirono alla volta di Fiorano, «perché non si riusciva ad andare avanti con un misero stipendio da 20mila lire al mese», racconta Antonio. «Arrivato in Emilia, ospitato a casa di parenti emigrati prima di me – prosegue –, trovai lavoro in una fabbrica e lì lo stipendio era di ben 120mila lire, un’enormità per me, e quindi decisi di restare». E come Antonio e Giulio, a Fiorano (e Maranello) emigrarono in tanti, tantissimi da Ozieri, uomini e donne che oggi spesso si ritrovano con altri emigrati sardi nel circolo Il Nuraghe di Fiorano, che ospita dalla Sardegna associazioni culturali e organizza spettacoli (si pensi alle diverse tournée teatrali della Compagnia delle Donne di Ozieri).

Diversa la situazione in Svizzera, dove l’emigrazione fu “coordinata” direttamente dalle imprese dello Stato cantonale. «Ci assunsero direttamente in paese – raccontano Nino, Nanni e Tore – dopo due riunioni svoltesi a Oschiri e a Tula dove un’esponente dell’azienda svizzera ci presentò mansioni e stipendio. Dopo aver deciso di partire, dodici da Oschiri e sette da Tula, ci ritrovammo a Porto Torres per l’imbarco. Ci fermammo a Chiasso, paese di frontiera, per le visite mediche e una volta arrivati a destinazione iniziammo subito a lavorare con un contratto stagionale, 9 mesi di lavoro e 3 mesi di sospensione che passavamo sempre in paese. Solo dopo 36 mesi di lavoro tra una sospensione e l’altra diventammo lavoratori annuali, e allora portammo qui le nostre famiglie».

Famiglie che sono cresciute, in Svizzera, tanto che qualcuno ha deciso di restarci. Ma tanti non lo hanno fatto, e ora ricordano anche con un po’ di nostalgia quel periodo della loro gioventù, ma non si pentono di essere tornati in quella che hanno sempre chiamato “casa”.

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