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Virdis, gli azzurri e la storica scoppola con lo Zambia

di Andrea Sini
Virdis, gli azzurri e la storica scoppola con lo Zambia

L’ex bomber di Sindia racconta lo 0-4 subito nel 1988 a Seul «Noi facevamo il fuorigioco, loro si infilavano come saette»

23 luglio 2012
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SASSARI. La notte più buia del nostro calcio è arrivata in una tiepida mattina di settembre. Negli anni precedenti c’erano stati altri tonfi azzurro tenebra, come il Cile, come la Corea del Nord del dentista-goleador Pak Doo-ik. Drammi sportivi veri, mai dimenticati. Ma quel giorno di fine estate del 1988, dalla lontana Corea del Sud ci piombò tra capo e collo Italia-Zambia 0-4.

La nazionale olimpica di calcio, allenata da Francesco Rocca, era composta da alcuni dei migliori giocatori della serie A, autentici campioni come Tacconi, Ferrara, Carnevale, Mauro, Cravero, Colombo, Crippa. Mica robetta. C’era anche Pietro Paolo Virdis, bomber del Milan, primo e sinora unico calciatore sardo a laurearsi capocannoniere della serie A. «Fu proprio una bella scoppola – ricorda oggi il 55enne Virdis –. Eravamo un ottimo gruppo ed eravamo andati in Corea per fare una grande olimpiade, possibilmente per portare a casa una medaglia. Alla fine non ci riuscimmo per un pelo, perché nonostante quella sconfitta finimmo quarti. Ma quella batosta con lo Zambia fa parlare ancora oggi».

Cosa successe quel giorno allo stadio di Seul? «Successe che noi andammo in campo tranquilli, per fare il nostro gioco – racconta l’ex giocatore originario di Sindia –. In quegli anni si stava diffondendo il credo di Arrigo Sacchi, che predicava il modulo a zona. Solo che non tutti i giocatori di quella squadra erano abituati a quel modulo. Io giocavo nel Milan e lo conoscevo a memoria, ma tanti altri avevano sempre e soltanto difeso a uomo. Trovare i tempi e i meccanismi giusti non è una cosa che si fa un pochi giorni, servono settimane di allenamenti specifici».

E infatti nelle maglie larghissime della difesa italiana si infilarono quei giovanotti in maglia arancione. Che correvano come gazzelle. «Si è sempre detto che loro correvano il doppio e che noi eravamo piantati – dice Virdis –, ma non è vero e lo dimostra il fatto che noi siamo arrivati sino in fondo alla competizione, dopo essere tornati a giocare un calcio all’italiana. La verità è che ogni volta che la nostra difesa saliva per fare il fuorigioco, c’era sempre uno che restava indietro e teneva in gioco gli attaccanti dello Zambia. Che infatti ci fecero a fette».

E poi quella squadra africana non era esattamente una formazione derelitta, anzi. «Alcuni di loro giocavano da anni in Europa – ricorda Pietro Paolo –, lo stesso attaccante che ci fece tre gol (Kalusha Bwalya, ndr) era un giocatore di ottimo livello che rimase in Europa per anni. Loro avevano buone individualità e un’organizzazione di gioco all’avanguardia. Di certo i nostri “buchi” in difesa non fecero altro che accentuare la loro bravura e determinarono questo passivo che è rimasto nella storia».

L’Italia di Rocca, come detto, tornò a difendere a uomo e arrivò sino alla semifinale, dove venne battuta dalla Russia per 3-2 ai supplementari. Lo Zambia dei miracoli vinse ancora per 4-0 contro il Guatemala, poi venne eliminato dalla Germania ai quarti. Quei ragazzi con la maglia arancione avranno un nuovo appuntamento con la storia, stavolta tragico: il 27 aprile 1993 l’aereo che avrebbe dovuto portarli in Senegal per una partita si inabisserà dopo il decollo, in Gabon, cancellando un’intera generazione di giovani campioni.

Ma alla storia piace sorprendere e commuovere. Lo scorso febbraio la coppa d’Africa si è svolta proprio in Gabon. La medaglia d’oro, contro ogni previsione, è andata a quella nazionale con la maglia arancione. In Zambia, 24 anni dopo, è stata di nuovo festa grande.

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