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«Ciao Dinamo, ci rivedremo molto presto»

di Andrea Sini
«Ciao Dinamo, ci rivedremo molto presto»

Capitan Vanuzzo saluta dopo 9 stagioni «Vado via solo perché voglio ancora giocare»

24 luglio 2015
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SASSARI. Il giocatore che erediterà i suoi gradi l’ha salutato nel modo più appropriato: “c’è solo un capitano”, ha scritto su twitter Jack Devecchi. Lui, “il numero 18, il capitano, Manuel Vanuzzo”, saluta e se ne va, trascinato via dalla sua voglia di calcare ancora il parquet, nonostante i 40 anni compiuti e la chioma ormai imbiancata.

Dopo 9 stagioni il leggendario totem di Dolo, Venezia, chiude il capitolo più importante della sua vita sportiva. Vanuzzo lascia la Dinamo e i fasti di serie A ed Eurolega, ma non lascia il basket, e di fatto neppure Sassari. Continuerà a giocare almeno per un altro anno, due categorie più in basso, con la maglia dell’Ap Udine. E continuerà a sentirsi sassarese, “perché è la mia vita è là ed è a Sassari che tornerò quando smetterò di giocare”.

Quarant’anni compiuti ad aprile, 340 presenze in campionato con la Dinamo e braccia ancora ben allenate, con tutti i trofei sollevati in questi anni: una promozione dalla Legadue, due coppe Italia, una Supercoppa, uno scudetto.

Cosa si prova a levarsi quella maglia dopo 9 stagioni?

«È strano, non c’è dubbio. Ma sono sereno. Ho avuto tempo e modo di decidere cosa fare. E ho deciso che continuerò a giocare, sapendo che questa scelta mi porta via da Sassari».

Nella Dinamo non avrebbe più avuto spazio?

«No, penso proprio di no, e comunque lo capisco. Già nell’ultima stagione le opportunità si erano ridotte quasi del tutto. Non ne ho mai fatto una malattia, infatti ne ho parlato con la massima tranquillità con Meo, con Sardara e conPasquini e alla fine ho fatto la mia scelta. Scendo qui».

Nessuna polemica, dunque. Qualche rimpianto?

«No, impossibile. Negli ultimi anni mi sono tolto tutte le soddisfazioni possibili e immaginabili. Ho vinto cose che non avrei mai immaginato di vincere, ho fatto la mia parte, sono quasi sempre stato protagonista e ho dato alla Dinamo tutto quello che potevo dare. Ora voglio solo giocare, e sono pronto a rimettermi in gioco».

Per lei si parlava di un futuro da dirigente o da tecnico nella Dinamo.

«Per quello ci sarà tempo. Con la società ci stiamo lasciando da amici veri, la mia vita futura con la mia compagna Laura e con mio figlio Thiago sarà a Sassari. Io sto studiando per prendere il patentino da allenatore, non mi vedo molto in giacca e cravatta a fare il dirigente. Magari un giorno potrei provare a fare le scarpe a Meo...».

Lei è arrivato a Sassari nel 2006, uomo fatto, con alle spalle già una carriera ultradecennale. Si sarebbe aspettato di vivere un decennio come questo?

«Onestamente no, al tempo pensavo anche di avere chiuso con la A1 ed ero impostato come un giocatore di A2. Poi è cambiato tutto, Meo è stato bravo a gestirmi, io mi sono riadattato e mi sono creato un nuovo ruolo. Insomma, tutto è venuto da sè. Ed è andata proprio bene».

Passiamo ai flash dei suoi 9 anni a Sassari.

«Il primo giorno che sono arrivato. Me lo ricordo benissimo. Poi campionati difficili in A2, le partite perse malamente, quelle vinte. La promozione in A, i playoff, le coppe europee, la fortuna e la incredibile soddisfazione di poter sollevare le coppe da capitano. Ma non c’è solo questo».

Cos’altro?

«Ci sono i rapporti umani, i ricordi legati a cose apparentemente piccole. Per esempio, negli spogliatoi mi sono seduto nello stesso posto per 9 anni: sarà strano cambiare. Poi l’abitudine a vedere quotidianamente certe persone, penso a Simone Unali (il fisioterapista) o, soprattutto negli ultimi anni, con la schiena che scricchiolava, a Ugo D’Alessandro. Sono stato per 9 anni in camera con Devecchi, eravamo una coppia di fatto... I cinque anni con Brian, l’amicizia con Massimino. E mille altri nomi e volti che mi porterò dietro».

Travis Diener ha raccontato che l’emozione più grande dei suoi anni in Italia è stata la sua tripla sulla sirena a Bologna in gara 3 dei playoff nel 2012.

«Beh, vale anche per me... Ma ricordo anche il canestro decisivo contro Caserta nella nostra prima vittoria in serie A. O la rimonta favolosa in Eurocup contro Bamberg che valse la qualificazione. E di Travis vorrei anche dire che mi ha allungatola carriera, proprio come Meo. Giocare con lui è stato, come dire...facile».

Ultima domanda. Quale è stata la coppa più “pesante”?

«L’ultima. Vincere lo scudetto è qualcosa che completa un giocatore. E poi la prima coppa Italia. Nessuno si aspettava di vederci vincere e forse non ci pensavamo neppure noi».

Ma nel basket a volte i sogni si realizzano. Per questo, “il numero 18, il capitano, Manuel Vanuzzo”, continuerà a sognare sul parquet.

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