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Ivan Basso: «Tifo Aru, non lo prendono»

Ivan Basso: «Tifo Aru, non lo prendono»

Vacanza-lavoro in Sardegna per il campione lombardo: «La cultura e l’umanità di Fabio sono sorprendenti»

09 settembre 2015
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PULA. «Se arrivi quinto alla Vuelta, terzo e secondo al Giro d’Italia dietro Contador, significa che stai compiendo un percorso importante. Fabio Aru è già un grande campione, non c’è nulla che possa rovinargli la festa».

Firmato Ivan Basso. La pagella per il ciclista di Villacidro arriva alla vigilia della tappa della Vuelta. Aru va a caccia della maglia “roja”. Ivan il terribile non ha dubbi: «Se la merita tutta». Un sorriso i figli che gli girano intorno, pacato e solare, Basso si gode vacanze-lavoro al Forte Village. «Facciamo tre ore al giorno in sella: scenari stupendi, per trenta chilometri non incroci una macchina. La Sardegna è speciale».

Originario di Gallarate, classe ’77, tra i più forti passisti-scalatori degli anni 2000, due Giri d’Italia (2006 e 2010), due podi al Tour, oro e argento ai mondiali Juniores e Under 23. Testimonial dell’Academy del resort, viene da un brusco stop: tumore ai testicoli. La “bestia” compare per caso. Cade all’ultimo Tour, botta nel sottosella, esami: cancro. Basso tira dritto. Racconta e spiega. Pacato e onesto. Anche su doping, Operazione Puerto e squalifica. Nel 2007 collabora per primo con la Procura del Coni. Pare un secolo fa. Adesso, vola leggero. Saluta Stefano Feltrin e Paolo Mancuso, ds Tinkoff e manager del Forte, e via.

Si apre su Aru.

«La Vuelta? Fabio può andare fino in fondo. Di lui mi ha impressionato la cultura e l’umanità. Ci parli e senti che è colto. Trasmette sempre qualcosa».

Aru l’uomo. E il ciclista?

«Ho un’età in cui vedo da collega e tifoso: lui va forte, gli altri non lo prendono. Se coglie la Vuelta dà un messaggio enorme per l’intero movimento e per la vostra regione».

Basso, cos’è successo al Tour lo scorso 13 luglio?

«Mi sono ritirato. Dopo la caduta nella quinta tappa sentivo dolore, ho fatto accertamenti sulla clinica mobile: tumore al testicolo. In Italia me lo hanno asportato».

Al San Raffaele di Milano.

«Sì. L’intervento è riuscito, il professor Montorsi il primo settembre mi ha detto che Tac ed esami del sangue sono ok. Sono stato fortunato, se non fossi caduto avrei corso rischi seri: un amico l’ha scoperto che era il doppio e da seminoma è diventato carcinoma. La lezione è semplice: la prevenzione è fondamentale. Al San Raffaele cercano di capire come stavo prima e quali sensazioni provavo».

Qual è la scaletta?

«Il 21 settembre ho il secondo controllo. Prima asportavano il testicolo e facevi chemio. Ora ti seguono nei primi tre mesi, senza complicazioni si procede».

Come si sente?

«Bene. A un mese dall’intervento sono salito in bici per un’oretta. Ma non so quando tornerò a correre: le gare si fanno per vincere o aiutare gli altri a vincerle. Ho un altro anno di contratto con la Tinkoff. Mi sono stati vicino, con il team c’è un rapporto speciale, le lacrime di Contador al Tour non le scordo. Voglio avere la stessa lealtà umana e professionale. Per ora, la salute ha la priorità».

Insomma, niente programmi?

«No. Mi sento un corridore in attività ma sono schematico, dovrò capire quando sono pronto per andare ad allenarmi e non a pedalare. Questioni molto diverse».

Fatica e ombre, come il doping. Morale?

«Ho commesso errori e chi sbaglia paga il conto. Mi sono rimesso a lavorare in silenzio. Nei momenti no ho avuto al fianco persone che mi hanno aiutato. Dire scusate, ho sbagliato, non basta. Ho pensato a recuperare credibilità e consenso. Aspetti fondamentali per un uomo di sport».

Qual è il vero traguardo?

«Lasciare agli sportivi qualcosa che non siano solo i trofei ma valori veri. E mi godo flash come quello al Giro vinto nel 2010: i miei due figli, Domitilla e Santiago che mi vengono incontro all’Arena di Verona».

Basso, cosa ascolta quando pedala?

«Ero amico di Mango, la sua musica. Ora giro in bici con Jovanotti: L’estate addosso è lo spot del ciclismo».

Mario Frongia

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