La Nuova Sardegna

SASSARI. Meo Sacchetti al termine della partita con Cremona lo ha detto: «Siamo ripartiti da gara6 con Reggio Emilia», e ha ragione. C’era tutto, domenica sera, come era stato a fine giugno, nella serie finale dei playoff: adrenalina, supplementare, vittoria. Anzi no, proprio tutto domenica non c’era. Mancava uno degli elementi che più hanno contribuito a costruire lo scudetto biancoblù: il ruggito dei cinquemila del PalaSerradimigni.

Lo hanno atteso, i giocatori, lo hanno cercato e invocato nei momenti più caldi, prima quasi timidamente poi pretendendolo. «Ma come, dicevano che Sassari...». Così prima Brian Sacchetti poi Brent Petway hanno levato le braccia a sollecitare, poi nel momento più caldo del match Rok Stipcevic si è dovuto sbracciare ripetutamente tra una sua prodezza e l’altra per chiamare l’incitamento del palazzetto, finalmente ottenendolo. Uno sprone vero, e non più solo semplici applausi da platea. Lo scudetto in bacheca, issato sul tetto di Sassari poco prima della palla a due, ha pesato più per gli spettatori che per la squadra. Il presidente Stefano Sardara anche ieri via Facebook ha elogiato le due curve per le coreografie, e le due curve per tutto il match non hanno fatto mancare il loro calore ma quella che è venuta meno è stata la spontaneità, la «fame» di vittoria che cala dalle tribune. Da tutte le tribune, domenica spettatrici dello stendardo-monumento oltre che del match, ma meno, molto meno partecipi di altre volte e soprattutto meno protagoniste, come si fosse dimenticato che quello scudetto è stato vinto dalla squadra e dal suo pubblico, e che adesso dovrà essere difeso dalla squadra e dal suo pubblico, con le unghie sul campo e con le gole dall’alto, tutto intorno. Alla prossima, smaltito l’effetto-scudetto, il ruggito tornerà. (mac)