La Nuova Sardegna

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Un gruppo di lavoro che viaggia compatto verso l’obiettivo

di Roberto Sanna
Un gruppo di lavoro che viaggia compatto verso l’obiettivo

Nessuna alchimia dietro la trasformazione della squadra Si è passati da un contesto conflittuale alla normalità

02 dicembre 2015
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SASSARI. Lo hanno soprannominato il “normalizzatore” e il segreto di Marco Calvani è proprio questo, riportare su territori prettamente cestistici un gruppo che nella filosofia di Sacchetti faticava evidentemente a riconoscersi. In questo Meo ricorda Mike D’Antoni, un altro coach che ama i quintetti piccoli ed esaspera la corsa e le soluzioni rapide, possibilmente da tre punti (“Seven seconds or less” è il titolo di un libro che racconta una stagione dei suoi Suns). D’Antoni, appunto, amava dire del rapporto coi suoi uomini «Cerco di applicare quello che pensavo avesse senso quando ero un giocatore». Sembrano parole di Meo Sacchetti, il quale ha sempre mostrato un certo fastidio quando non è riuscito a stabilire un filo diretto con un giocatore. Figuriamoci quest’anno, quando ha ammesso candidamente di avere il dubbio di non essere l’allenatore giusto per questa nuova Dinamo.

Il problema inoltre parte più lontano, da quel divorzio già pronto in primavera e non consumato d’estate. Sempre facendo un paragone con l’Nba, prima dei playoff era ben chiaro che quella Dinamo viveva una situazione da “last dance” come i Bulls del 1998. Quando era noto che Jordan si sarebbe ritirato, Pippen avrebbe cercato altrove contratti più pesanti e Phil Jackson avrebbe cambiato destinazione, ma tutti si compattarono alla ricerca dell’anello. Allo stesso modo a Sassari si sapeva che Lawal sarebbe andato a Barcellona, Dyson e Sanders erano stati bruciati dal loro carattere e Meo Sacchetti era ai ferri corti con la dirigenza, ma c’era ancora un sogno da inseguire. Vinto lo scudetto, ha prevalso l’onda emotiva nessuno ha avuto il coraggio di tagliare l’ultimo cordone. Il problema è che il sistema di Sacchetti per funzionare ha bisogno non solo di giocatori che recepiscano il suo discorso ma anche un gruppo di lavoro che lo supporti. E stavolta il feeling non c’era, lo dimostrano le parole del presidente Sardara nel giorno dell’addio: «l’equipaggio non viaggiava compatto ma andava in direzioni diverse». Significa anche che la situazione aveva superato il limite della gestibilità, nel senso che qualsiasi soluzione si fosse presa sarebbe stata pesante e dolorosa. Inoltre la squadra aveva in qualche modo percepito che la situazione sarebbe potuta evolvere in un certo modo e il clima era diventato quasi plumbeo.

Adesso la Dinamo ha un gruppo di lavoro compatto, la squadra ha quella guida ferrea della quale evidentemente aveva bisogno, si sono messi in moto i meccanismi. Si è normalizzato anche il rendimento: la Dinamo forse non vincerà un altro scudetto ma sicuramente, in questa Serie A, ha qualcosa in più di squadre come Pesaro e Capo d’Orlando e non può fare figuracce come quella di Bologna, i conti deve regolarli con le altre squadre di prima fascia. Gli anni con Sacchetti non sono stati un semplice ciclo ma vere e proprie pagine di epica, spesso sopra le righe, vissute su contenuti e visioni fuori dai canoni, con tantissime vittorie concentrate in pochi anni in una piazza che aveva sempre vissuto in Legadue. Troppe cose insieme per essere replicate, la figura di Marco Calvani è così riconducibile a quella di un “normalizzatore”: si muove su canoni tradizionali, ha una squadra fatta di tanti buoni giocatori con i quali si sta scoprendo con entusiasmo. La differenza di rendimento, alla fine, è tutta qui, senza dover ricorrere a teorie complottistiche o processi.

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