La Nuova Sardegna

Sport

Scott: «Vinco perché sono felice»

di Giovanni Dessole
Scott: «Vinco perché sono felice»

L’americano del Gsd Porto Torres ha dominato il massimo campionato italiano di basket in carrozzina

16 maggio 2016
3 MINUTI DI LETTURA





PORTO TORRES. Matt Scott è uno dei dieci giocatori di basket in carrozzina più forti al mondo, in assoluto e del presente. È affetto da spina bifida Scott, malattia invalidante che lo ha costretto sin dall’infanzia su una sedia a rotelle, ma non gli ha impedito di diventare qualcuno. Il suo motto è "no excuses", filosofia di vita del cestista a stelle e strisce. Nel 2015-'16 il fuoriclasse americano ha indossato la canotta del Gsd Porto Torres e così sarà - dice lui stesso - anche il prossimo anno.

Come si affronta la disabilità trasformandola in opportunità di crescita, e di successo?

«Credo che successo e felicità si equivalgano. Ognuno di noi ha la capacità di essere felice. Perciò il successo è facile da raggiungere quando, nella tua vita, hai raggiunto un punto in cui sei felice. Sono sempre stato circondato da persone splendide, amorevoli e positive che mi hanno spinto a raggiungere i miei obiettivi ogni giorno. Questo è stato il principale motore del mio successo: le meravigliose persone della mia vita».

Primo ricordo legato al basket in carrozzina?

«La mia famiglia non poteva permettersi una carrozzina sportiva, così giocavo con una vecchia, usata e arrugginita, non adatta per il basket. Poi a 16 anni ho incontrato il proprietario della Per4max, ebbi l'opportunità di giocare e allenarmi con lui. Dopo aver intuito il mio potenziale, mi diede carrozzina nuova di zecca. Non mi chiese niente in cambio, se non che io facessi del mio meglio per essere il meglio che potevo. Loro per me sono come una famiglia».

Come si diventa campioni?

«Non si diventa campioni per caso. È necessario lavorare duramente, sacrificarsi, migliorare i punti deboli, perfezionare quelli forti e giocare con i compagni di squadra come se fossero fratelli. Non in modo occasionale, deve essere la routine di tutti i giorni. Essere un campione non significa essere grande sempre e per sempre: è tutta una questione di lavoro costante».

Bilancio dell'esperienza turritana?

«A Porto Torres è stato tutto incredibile. All'inizio sono rimasto impressionato dai paesaggi e dalla meravigliosa estetica della Sardegna. Ho passato del tempo sull'Isola e ho realizzato che la vera bellezza della Sardegna non sono le spiagge e il mare: sono le persone amabili, affascinanti e genuine che ci vivono a rendere questo posto così magico».

Il futuro?

«Sono dipendente dal basket, dal buon cibo e dalle belle donne. Tutto questo in Sardegna c'è. Aggiungete la stima e la fedeltà eterna che mi ha dimostrato il Gsd quest'anno e potrete ben capire perché tornerò sicuramente qui la prossima stagione».

Qual è il livello della serie A italiana?

«Il livello è molto alto e in ogni partita hai necessità di giocare al meglio se non vuoi perdere. Anche le squadre che stanno nelle zone basse della classifica lottano duro e sono in grado di vincere contro le più forti. In questo campionato giocano alcuni dei giocatori più talentuosi al mondo».

Ad esempio?

«Il mio giocatore preferito al mondo adesso è George Bates, mio compagno di squadra. Ha un potenziale illimitato e sono onorato di aver giocato assieme a lui. Il giocatore più forte che ho incontrato in Italia invece è Brian Bell di Cantù. A livello mondiale? Dico senza dubbio Steve Serio».

In Primo Piano
L’intervista in tv

Alessandra Todde: «L’Italia non è il paese della felicità che racconta la premier Giorgia Meloni»

Le nostre iniziative