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Cagliari, parla Padoin: "Affascinato da questa città"

di Roberto Muretto
Simone Padoin
Simone Padoin

Il rossoblù vive tra Assemini e il Poetto: "Con mia moglie abbiamo fatto una scelta di vita"

10 ottobre 2016
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CAGLIARI. Uno dei pregi di Simone Padoin è la capacità di farsi volere bene. Ovunque ha giocato si è fatto apprezzare, lasciando nella tifoseria ricordi che resistono negli anni. Sarà perchè ha un carattere aperto, sarà perchè in campo spende fino all’ultima goccia di sudore, il centrocampista del Cagliari anche in Sardegna è subito diventato un beniamino. Ha lasciato la Juventus, non un club qualsiasi, per la maglia rossoblù. Una scelta di vita precisa, convinto da un progetto che ha basi solidissime.

Simone, come si trova in una città come Cagliari? «Molto bene. Conosco il lungomare del Poetto dove con la mia famiglia andiamo nei momenti liberi. Ci piace il mare e ne approfittiamo per goderci splendide giornate di sole. I miei figli impazziscono quando possono giocare all’aperto».

Ha dovuto faticare per convincere sua moglie a trasferirsi in Sardegna? «Quando ho comunicato la decisione a mia moglie, Valentina, che ho conosciuto quando studiavo al liceo scientifico di Bergamo, era felice. È normale che vivere in un’isola ti costringe a prendere l’aereo per tornare a casa, per fortuna la mia famiglia è qui con me e non dobbiamo spostarci».

Vi siete ambientati subito? «Proprio così. Per farle capire quanto stiamo bene, le racconto una telefonata con mio fratello di qualche giorno fa. Erano le 8,30 del mattino, entrambi eravamo in macchina. Lui stava andando al lavoro e mia ha detto: qui ci sono otto gradi. Io gli ho risposto: qui venti, più tardi vado al mare. E lui: quanto sei fortunato».

Che cosa vi ha colpito di più della città? «Intanto la zona del porto, è veramente bella, caratteristica. E poi tutta la parte che da viale Diaz porta verso via Roma. Ancora devo scoprire tante altre bellezze. Ci piace conoscere a fondo la città nella quale speriamo di vivere per qualche anno».

Accettando il Cagliari si è dovuto calare in una nuova realtà e soprattutto cambiare la mentalità. Ha avuto delle difficoltà? «All’inizio sì. La Juventus ovunque gioca ha l’obbligo di vincere, il Cagliari quello di mantenere la categoria. Nelle prime uscite, soprattutto nelle gare in trasferta, abbiamo commesso errori evitabili. Avevamo bisogno di conoscerci. Soprattutto noi nuovi dovevamo inserirci in un sistema di gioco collaudato. Adesso so quali sono i pregi e i difetti dei compagni, loro sanno i miei. Ultimamente abbiamo avuto più tempo per lavorare, i movimenti sono più naturali. Siamo in crescita».

Lei era abituato a vincere, questo fa un po’ perdere la voglia di lottare? «Neanche per sogno. In campo devi sempre dare il massimo. La maglia che indossi ha poca importanza». Che accoglienza allo Juventus Stadium. «Una grande emozione. Peccato che la prestazione non sia stata all’altezza. Ammetto che mi sono goduto quei momenti e mi hanno fatto un enorme piacere».

Allegri ha detto: fosse per me Padoin stava qui. «Sono parole che mi hanno riempito il cuore. Il mister ha sempre avuto fiducia in me e lo ringrazio. Ho fatto una scelta meditata, ci tenevo a giocare il più possibile negli ultimi anni di carriera. A Cagliari sto alla grande, sono felice. Sapevo benissimo che cosa lasciavo ma volevo essere protagonista e qui in Sardegna ci sono i presupposti per regalare soddisfazioni ai tifosi».

Spesso si parla di gruppo unito e si ha la sensazione che sia un luogo comune. Ci spiega cosa vuol dire fare gruppo in una squadra di calcio? «Intanto non è andare a cena insieme una volta o due alla settimana. Per me il gruppo è quando venti-venticinque giocatori in campo danno tutto e si aiutano a vicenda. In questo modo se io sono in difficoltà, so che posso contare sugli altri. Il gruppo si costruisce durante gli allenamenti. Anche chi sta fuori o gioca poco deve sentirsi fondamentale. Al Cagliari questo succede. È lo spirito giusto, quello che ha consentito a grandi club di tagliare traguardi prestigiosi».

Tanti infortuni ma Rastelli ha trovato la quadratura del cerchio. È solo bravura o c’è anche un po’ di fortuna? «Ci sta tutto ma il mister ha dimostrato di essere preparato. Ha fatto le scelte giuste e la risposta sul campo è stata eccellente. Faccio un solo esempio: quando si è fatto male Ceppitelli, l’allenatore ha fatto giocare Salamon che secondo me in quella partita è stato il migliore in campo. Questo significa due cose: la prima che Rastelli sa cosa fare anche nelle difficoltà e poi torna in ballo il discorso del gruppo nel quale siamo tutti importanti».

Parliamo del presidente. Si mette sul piedistallo o è uno che dialoga e si confronta? «Premesso che dico sempre quello che penso realmente e che tra noi e il patron c’è un reciproco rispetto, Giulini è un uomo a cui piace ascoltare. È una persona intelligente e molto ricettiva. Spesso si confronta con noi giocatori più esperti e lo fa su tanti temi. Per esempio ho parlato con lui anche su come si può migliorare una struttura come Assemini. D’altronde ci dice sempre che lui è nel calcio da tre anni ed ha tanto da imparare».

Barella e Murru sono i compagni più giovani. Che futuro hanno nel calcio? «Hanno la mentalità giusta e potenzialità importanti. Secondo me un anno di serie B a Murru ha fatto bene, è stato un trampolino di lancio. Barella è più giovane ma ha già dimostrato grandi qualità. Mi ha colpito la personalità con la quale tiene il campo, non si spaventa se ha davanti dei campioni. Hanno un grande vantaggio: la fiducia della società, dell’allenatore e dei compagni. È la condizione ideale per maturare e migliorarsi».

Lei ha avuto a che fare con tifoserie esigenti e molto calde. Come definisce i sostenitori del Cagliari? «Al Sant’Elia rappresentano il dodicesimo uomo in campo. Non è una frase fatta, è proprio così. Ci hanno aiutato tantissimo, sentiamo il calore. Solo chi va in campo capisce quanto sia importante il ruolo dei tifosi. Nella partita con la Roma ci hanno trasmesso una carica incredibile e la stessa cosa hanno fatto col Crotone».

Avete dieci punti dopo sette gare, soddisfatti? «Mai accontentarsi ma siamo in linea con le aspettative. Dopo la gara contro la Juventus ci hanno criticato tantissimo perchè non abbiamo lottato. Ma perdere a Torino, dove in pochi faranno risultato, è normale. Il cruccio è il passo falso commesso a Bologna. Da quella sfida non dovevamo uscire battuti. Abbiamo pagato errori che adesso non commettiamo più. Anche questo fa parte della crescita».

Dieci punti tutti conquistati al Sant’Elia. Il presidente pretende che vi sblocchiate in trasferta. Pronti? «A parte Torino dove non siamo mai entrati in partita, sia a Genova che a Bologna le cose potevano andare diversamente. Abbiamo sbagliato alcune cose ma la fortuna non è certo stata dalla nostra parte. Non è questione di personalità, quella ce l’abbiamo, ve lo posso assicurare».

Il prossimo avversario si chiama Inter. L’occasione per dimostrarlo? «La lezione con la Juventus ci è servita. Sicuramente faremo una partita più coraggiosa. Dovremo pressare, non concedere spazi ai nerazzurri, togliergli certezze. Siamo una squadra che non deve aspettare l’avversario, non è questo il tipo di calcio che ci appartiene e che il mister vuole».

Ultima domanda: chiuderà a Cagliari la carriera? «Non posso prevedere il futuro. Però una cosa posso dirla con sincerità: qui sto bene io e anche la mia famiglia».

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