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Tre anni difficili vissuti tra gaffe, riforme, Var e il ko mondiale

Tre anni difficili vissuti tra gaffe, riforme, Var e il ko mondiale

ROMA. Nell'ultimo giorno di presidenza di Carlo Tavecchio, al termine del Consiglio federale durante il quale ha rassegnato le dimissioni, si può riavvolgere il nastro dei suoi tre anni da numero uno...

21 novembre 2017
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ROMA. Nell'ultimo giorno di presidenza di Carlo Tavecchio, al termine del Consiglio federale durante il quale ha rassegnato le dimissioni, si può riavvolgere il nastro dei suoi tre anni da numero uno del calcio italiano. Per l'esattezza 39 mesi. Vissuti pericolosamente, tra gaffe, riforme, un buon europeo e uno storico addio anticipato al mondiale del 2018.

Non sono stati tre anni facili quelli dell'ex numero1 dei Dilettanti, passato alla guida del calcio che conta. In principio fu lo scivolone su 'Opti Pobà’, poi arrivò la gaffe sugli «ebreacci». In mezzo però un percorso virtuoso di riforme, il rivoluzionario via libera alla Var, comunque sempre tra ostacoli e detrattori: fino alla rielezione di marzo che sembrava aver blindato il mandato per il prossimo quadriennio. Ma il mondiale senza l'Italia, il primo dopo 60 anni, ha dato il colpo di grazia alla leadership di Tavecchio in Figc.

Un percorso a ostacoli, quello dell'ormai ex presidente, che aveva raccolto i cocci di una federazione azzerata dopo il flop ai mondiali brasiliani del 2014. Ma dall'11 agosto di quell'anno, giorno della elezione a n.1 federale, si è visto un po’ di tutto, in una partita tra situazioni ereditate e problemi insoluti come il fallimento del Parma, le riforme dei campionati, calcioscommesse.

Che l'era di Tavecchio in Figc fosse nata all'insegna della polemica lo si è visto subito con il passaggio a vuoto dell'ex presidente della Lega Dilettanti poco prima di prendere il posto di Abete alla Federcalcio, quell'Optì Poba di cui si scusò, lasciando però a critici e detrattori un argomento buono per metterlo sotto accusa. Tavecchio supera la prima tempesta, diventa presidente della federazione e comincia il lavoro del post Mondiale con un colpo inatteso: l'ingaggio di Antonio Conte alla guida della nazionale. Contratto innovativo, con diritti di immagine inclusi, intervento dello sponsor. E comincia l'avventura: al nuovo ct il compito di ricostruire la squadra, a Tavecchio quello di supportarlo nella battaglia con i club trovando l'equilibrio migliore.

Risultato, tra arrabbiature di Conte con la Lega e risultati del campo, l'Italia riparte e si qualifica in anticipo agli Europei. Torneo continentale in cui quell'Italia da lavori in corso era riuscita a eliminare la Spagna e finire la corsa ai quarti, ma ai rigori davanti alla grande Germania.

La Figc di Tavecchio esce rafforzata dall'Europeo e lavora ai cambiamenti normativi: vara il tetto alle rose con indicazioni precise sul numero di italiani e provenienti dal vivaio. È il primo passo delle riforme, che prosegue con le norme sul fair play finanziario e il lancio dei centri federali; ma al centro c'è la madre di tutte le riforme, la riduzione della serie A a 18 squadre, lanciata e però subito incagliata nelle secche della Lega. Ma i guai sono sempre dietro l'angolo e spesso arrivano dal'interno: di Felice Belloli, successore di Tavecchio alla guida dei Dilettanti, nel verbale di una riunione del direttivo definisce «quattro lesbiche» le calciatrici. Nuova bufera e Tavecchio, ancora sotto pressione, ne esce spingendo Belloli a lasciare. Rieletto il 6 marzo, dopo aver battuto lo sfidante Andrea Abodi, Tavecchio sperava di essersi messo alle spalle i guai peggiori. Restavano quelli delle Leghe: commissario di quella di A ha cercato di scavallare anche gli ultimi ostacoli. Ma il peggio doveva ancora arrivare: per scongiurarlo aveva definito un'apocalisse l'eventualità che l'Italia non andasse ai mondiali. L'incubo è diventato realtà, tra le lacrime del ragioniere di Ponte Lambro che si fece re del calcio italiano.

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