La Nuova Sardegna

Sport

«Con la pallatamburello ho conquistato il mondo»

di Mario Carta
Ilaria Garau
Ilaria Garau

Ilaria Garau ha fatto il bis da capitana dell’Italia, insieme al ct Gianni Dessì «È uno sport minore però qui ci giochiamo da bambini. Sogno le Olimpiadi, ma...»

14 dicembre 2017
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SANTA GIUSTA. È normale svegliarsi campioni del mondo, se sei di Santa Giusta, 4.875 vivaci anime giusto dietro Oristano. Ed è normale anche essere stoppata in aeroporto e sentirti chiedere «ma di che squadra sei? che sport fai?», per poi scoprire i soliti volti meravigliati. E’ il destino di chi gioca a pallatamburello, e lo è ancora di più per chi questo sport così lontano dai riflettori della tivù e dalle cronache dei giornali sportivi lo vive in una realtà ancora più periferica rispetto alla già periferia insita nella disciplina, di casa soprattutto nelle piccole località del Piemonte e del Trentino.

Ilaria Garau, da Santa Giusta, è due volte campionessa del mondo. Un onore raro, nell’isola. Qualche pugile, pochi altri sportivi. La prima volta di Ilaria quattro anni fa nell’edizione disputata a Mantova, la seconda nell’edizione conclusa pochi giorni fa a a Vilafranca del Penedes, in Catalogna. «Dove le polemiche sull’indipendenza non si sono sentite, e la Catalogna – racconta Ilaria –, come sempre in questo sport, era una nazione a sé stante, con un suo inno e una sua divisa, mentre la Spagna aveva il suo inno e la sua divisa».

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Ragioni sociali, storiche, culturali dietro una pelle tesa e una palla da sbattere dall’altra parte del campo, sin da quando era un passatempo dei legionari romani alla conquista della Gallia. Un gioco che diverte Ilaria – come quasi tutti i bambini di Santa Giusta – sin dalle scuole elementari, dove la professoressa Cosetta Iriu da pioniera anni fa ha piantato un seme che oggi continua a produrre scudetti, titoli europei, coppe e adesso due allori iridati, per la gloria dell’Oristanese e della Sardegna, la cui bandiera Ilaria non ha mancato di far sventolare sul podio spagnolo.

Un seme innaffiato ora da Gianni Dessì, tecnico delle formazioni dell’Aeden Santa Giusta, ct della nazionale azzurra maschile e ora di quella femminile campione del mondo.

Ilaria ha 29 anni. Single, diplomata in Scienze Motorie con una tesi sulla fisiologia dell’atleta di pallatamburello, ha salito un ulteriore scalino diventando osteopata ed è questa ora la sua professione, che deve conciliare con il suo sport. Ha cominciato in quarta elementare, e a vincere sin dai Giochi Studenteschi.

«Ci giocava mio fratello maggiore – racconta Ilaria –, l’ho seguito. Ora lui fa calcio, e con l’altro mio fratello è tra i dirigenti del Santa Giusta, secondo in classifica in Prima categoria. Ma qui siamo abituati a fare due sport. Io ho giocato anche a basket nell’Azzurra Oristano, in serie B e in serie C, spesso da pivot perché a quanto pare sono una buona incassatrice, ma la pallatamburello è la pallatamburello».

Perché la pallatamburello, allora?

«Per tanti motivi, incluso quello che è un modo per uscire dall’isola, girare e fare esperienze che altrimenti non avrei potuto fare».

Vi sentirete un po’ soli, in Sardegna.

«Non è che non ci siano stati dei tentativi, ma non hanno attechito. Uno dei problemi è che mancano i tecnici»,

Ma non manca la passione.

«Ce n’è tanta e ne serve tanta. Siamo tutte lavoratrici, non è che non facciamo dei sacrifici. Anche adesso ci alleniamo almeno tre volte alla settimana, quando si gioca anche quattro o cinque. Il settore maschile invece è in sofferenza, da un paio d’anni non abbiamo più la squadra di serie A ed è un problema, perché allenandoci contro di loro noi ragazze eravamo più competitive».

Lo siete ancora, se siete riuscite a esprimere il commissario tecnico e il capitano del team campione del mondo.

«E’ stata una grande soddisfazione, e un motivo d’orgoglio. Sono fiera di aver portato il titolo in Sardegna».

L’ennesimo titolo.

«La bacheca dell’Aeden Santa Giusta è ricca, io ho cominciato a vincere a livello giovanile, qualcosa nell’open ma soprattutto nell’indoor. Abbiamo provato a fare l’attività all’aperto ma serve un campo che non si è riusciti a far decollare, e servono più giocatrici. In Piemonte e Trentino invece è un’altra cosa, i campi di pallatamburello sono quasi quanti quelli di calcio».

Un motivo d’orgoglio in più.

«Per la Sardegna, sì, a maggior ragione. Ora facciamo solo indoor, la specialità più praticata e più economica, visto che in trasferta andiamo solo in 5-6 persone».

Quanta curiosità, intorno a voi.

«In aeroporto spesso ci chiedono che sport facciamo. C’è chi ride, chi si mostra divertito, chi si informa. Tanti visualizzano la spiaggia e i racchettoni, ma è un’altra cosa. Anche se esiste il tambeach. Ci giochiamo a Torre Grande o ad Abba Rossa, due contro due. E alla fine, ci sentiamo uniche».

Uniche e spesso prime.

«La serie A è divisa in tre concentramenti, poi c’è la fase finale. Da un po’ di tempo dominano le trentine del Sabbionara. Ma noi abbiamo vinto tanto. Io due europei, uno a Budapest e uno a Monpellier, due mondiali ... ma titoli di club è un po’ che non ne vinciamo».

Dove tiene tutte le sue medaglie?

«In camera, nel cassetto. Adesso devo riordinarle».

A quale tiene di più?

«A quella dell’ultimo europeo, vinto con Alice Magnani. Era venuta a giocare a Santa Giusta, è morta in un incidente stradale un mese dopo aver vinto l’europeo».

Adesso lei ha vinto il secondo mondiale. Da capitana.

«E da migliore giocatrice».

Onore su onore.

«E orgoglio, tanto. Un mondiale non si vince tutti i giorni, vero?».

Il prossimo obiettivo?

«Vorrei dire le Olimpiadi, sarebbe bello ma non è uno sport olimpico, purtroppo».

Fino quando giocherà?

«Il nostro sport non ha età ma renderlo compatibile con il lavoro diventa sempre più impegnativo, e a volte tanti allenamenti non li reggo. Allora dico che smetto, ma non smetto mai. E poi, c’è un altro mondiale, in Brasile. Vuoi non andarci?»
 

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