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l’intervista 

«Cagliari e Inter sempre nel cuore»

di Enrico Carta
«Cagliari e Inter sempre nel cuore»

Gianfranco Matteoli oggi fa l’osservatore per il club nerazzurro

16 aprile 2018
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ORISTANO. Un’anima divisa in due, per tre quarti rossoblù e sarda e per l’altro quarto nerazzurra. Se potesse scegliere solo col cuore non ci sarebbero dubbi, ma di fronte al lavoro la scelta diventa quasi obbligata. Così, Gianfranco Matteoli, mette in prima fila la razionalità. «Per chi tifo martedì sera?. Sono un tesserato dell’Inter, non credo di avere molte opzioni in questo momento - sorride -. E poi la vittoria con l’Udinese mette il Cagliari in una situazione gestibile in maniera tranquilla. Posso guardare la partita più a cuor leggero».

Campione d’Italia con l’Inter di Giovanni Trapattoni nel 1989 - quella dei tedeschi e dei record -, capitano e faro del Cagliari di Ranieri, Tabarez e Giorgi - quello delle salvezze incredibili e della semifinale di Coppa Uefa del 1994 - Gianfranco Matteoli continua a dividere la sua vita tra la Sardegna e la Lombardia. Tra Cagliari e la Milano nerazzurra. Sono le due trincee su cui ha trascorso la gran parte della vita sportiva sia con le scarpette ai piedi sia con la giacca e la cravatta da dirigente. Oggi, dopo averlo fatto negli anni del Cagliari di Cellino, è osservatore per l’Inter dagli occhi a mandorla.

Va a caccia di talenti tra Inghilterra, Olanda, Francia, Germania dove ha appena visto la vittoria del Bayer Leverkusen sul Francoforte prima di fare nuovamente rotta verso Cagliari e poi Palmas Arborea dove dirige il centro Simba affiliato anch’esso all’Inter dopo essere stato per diversi anni una costola importante del vivaio del Cagliari. Pagine chiuse, ma Cagliari resta la sua città per quanto l’avventura calcistica sia iniziata nel più classico dei campi polverosi pieno di fastidiose pietre: quello dei Frassinetti accanto alla chiesa del Sacro Cuore a Oristano. Tempi andati e altro calcio.

Ma è vero che in questo momento in Italia c’è la crisi del mondo del pallone.

«A me sembra che ci piangiamo troppo addosso. La differenza tecnica e di talento non esiste, c’è semmai un problema di mentalità che sta incidendo in maniera pesante. Quando seguo le squadre estere per lavoro, la differenza che maggiormente noto è quella dell’approccio alla partita. Da noi si passa la settimana in mezzo a polemiche di ogni tipo, all’estero i calciatori invece non hanno pressioni eccessive e quando si va allo stadio il clima che si respira è davvero di festa. È per questo che dico che il campionato italiano non è quello più forte, ma sicuramente è il più difficile».

Un po’ quello che accadde al suo Cagliari del 1994, quello della semifinale Uefa persa proprio contro l’Inter.

«Avevamo vinto l’andata per 3-2, ma siamo arrivati alla gara di ritorno nella maniera sbagliata. Avevamo giocato il sabato in anticipo contro la Reggiana e ci eravamo salvati in campionato con la tripletta di Dely Valdes, poi però partimmo subito per Milano e il ritiro fu troppo lungo. Pensavamo solo alla partita e alla fine non giocammo come avremmo voluto. Il fallo da rigore su Firicano? Probabilmente c’era, ma non ci condannò soltantanto quello».

E oggi come si batte l’Inter?

«Non credo ci sia un reparto chiave nella sfida di martedì. Stiamo parlando di due realtà calcistiche di peso completamente diverso e questo si rispecchia anche nel valore delle due rose. Quella dell’Inter è nettamente superiore, ma è sempre il campo a decretare il migliore. Per fare punti il Cagliari dev’essere perfetto in tutti i reparti, dev’essere armonico nel lavoro complessivo perché di fronte c’è un grande collettivo che ha voglia di riscatto dopo alcune partite dove ha raccolto poco».

Questo il presente. Torniamo a ventinove anni fa e allo scudetto dell’Inter.

«È stato un anno fantastico. I momenti che mi fanno ancora sorridere sono tantissimi, ma tutti ricordano il mio gol dopo nove secondi e mezzo contro il Cesena a San Siro. Avevo appena fatto una triangolazione con Matthaus poi ho calciato al volo di sinistro. Dico la verità, non miravo all’angolo alto. Certo che speravo che il pallone andasse nello specchio, ma non credete mai a quelli che quando calciano al volo da lontano dicono che la volevano mettere esattamente in quel punto. Solo pochi campioni riescono a mandarla all’incrocio quando calciano al volo».

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