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«Io e Zare, che feeling in quella Dinamo»

di Andrea Sini
«Io e Zare, che feeling in quella Dinamo»

Basket. Federico Casarin, presidente di Venezia, domenica ritrova da avversario al palazzetto il suo vecchio coach

18 aprile 2018
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SASSARI. Dal loro primo incontro, quasi 27 anni fa, vennero fuori fuochi d’artificio che incendiarono i canestri avversari. L’uno, giovane coach senza patentino, esordì da capo allenatore “semi-abusivo” appollaiato sulla balaustra dietro la panchina; l’altro, capitano in carriera, già esperto ma con ancora tante cartucce da sparare, quel giorno segnò il suo massimo di punti in carriera: 39. Domenica al PalaSerradimigni c’è Dinamo-Reyer Venezia e per i tifosi di più lungo corso sarà come un deja vu: sulla panchina dei sassaresi c’è Zare Markovski; sulla poltrona di presidente degli oro-amaranto siede saldamente Federico Casarin. I due hanno lavorato insieme proprio a Venezia, alcune stagioni fa, ma questo faccia a faccia in piazzale Segni avrà un sapore un po’ diverso.

Presidente Casarin, bentornato negli Anni Novanta.

«Certo che di tempo ne è passato. Abbiamo lavorato bene insieme, ho bellissimi ricordi di quel periodo».

In quel lontano 1991 lei aveva 25 anni, il coach appena 31. Lui prese in mano la squadra e le diede le chiavi della squadra. Lei rispose mettendo a ferro e fuoco il palazzetto.

«Eravamo giovani... Si instaurò subito un grande feeling, sia con me personalmente che con il resto della squadra. Il suo esordio è nella storia: vincemmo di 36 sulla Breeze Milano, io ne feci 39. La settimana dopo giocammo di nuovo in casa, vincemmo ancora , contro Brescia, e io feci ancora tanti canestri».

Ne fece altri 22. Ma quale era il segreto di quel coach alle prime armi, privo ancora di patentino?

«Tra lui e lo spogliatoio si instaurò immediatamente un rapporto di grande fiducia reciproca. Lui ci faceva lavorare duro, ma i risultati gli davano ragione, ti faceva rendere al meglio delle tue possibilità. Zare ha la fama di essere un sergente e da un certo punto di vista è così, ma è molto bravo anche a curare i rapporti umani. Di quella squadra ricordo che davamo l’anima in campo, eravamo davvero uno per tutti, tutti per uno».

In tutto questo, domenica se lo ritroverà da avversario proprio al palazzetto.

«Spero che stavolta gli diano un posto in panchina e non dietro la ringhiera... A parte le battute, vederlo è sempre piacevole. Ma per me ogni ritorno a Sassari è speciale. Rivedere la città, arrivare in piazzale Segni rappresenta sempre un’emozione, perché i cinque anni trascorsi con la Dinamo sono una parentesi indimenticabile».

Quella di domenica sarà una gara molto importante per entrambe le squadre.

«Ormai mancano solo 4 partite e tutti hanno chiaro il proprio obiettivo. Negli ultimi anni quella tra Sassari e Venezia è sempre stata una sfida di alto livello. In questo caso per noi può rappresentare un preambolo importante in vista dei playoff. Anche perché il campionato è livellato verso l’altro e l’esperienza ci insegna che la classifica finale o il fattore campo contano relativamente, perché si gioca ogni 24 ore ed entrano in ballo tanti fattori: conta di più come si arriva alla seconda fase, e noi vogliamo iniziare a entrare in quel clima».

Voi avete lo scudetto sul petto e vi giocate il primo posto con Milano, che resta la favorita. Questo in qualche modo alleggerisce la vostra pressione?

«Milano è una squadra di altissimo livello, come sempre negli ultimi anni. Di recente noi e la Dinamo siamo stati bravi a inserirci e a ottenere risultati storici. Noi andiamo avanti con gli stessi presupposti e la stessa consapevolezza».

Da un mese avete tra voi anche un grande ex biancoblù, Edgar Sosa. Come si sta comportando?

«Molto bene, si è presentato con grande umiltà e serietà. Non era al top fisicamente ma si sta mettendo a posto: può diventare un fattore importante».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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