La Nuova Sardegna

Sport

La partita di Zare, un piede in campo e la testa nel match

di Mario Carta
La partita di Zare, un piede in campo e la testa nel match

L’allenatore della Dinamo calca la mano sulla difesa Parla con tutti, sorride agli arbitri e non si arrende mai

23 aprile 2018
2 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Un uomo solo al comando. Con 2 vice, 12 giocatori, medico, massaggiatori e dirigenti attorno, eppure solo. Perché prima della palla a due sei uno del gruppo, saluti i tifosi e ci scappa l’occhiolino all’amico in seconda fila, partecipi al rito della presentazione e dell’inno ma dal momento in cui il cronometro segna 9’59” decidi tu, e solo tu. Solo.

La partita di Zare Markovski comincia da seduto. Rendersi conto del match, immergersi. Dura un paio di minuti e il coach è già in piedi. Con il piede sinistro sempre dentro al campo. Un modo per entrare nella partita, per avere un contatto fisico con il match, viverlo e giocarlo. Per esserci. Una parola per tutti, grandissima attenzione alla difesa. I primi cambi sono per i lunghi, Daye imperversa e Zare spiega come limitarlo a capitan Devecchi, dietro di lui. Per mandare Hatcher sul cubo basta un dito: prima puntato verso di lui, poi verso il campo. Ma prima gli spiega cosa dovrà dare.

E’ dura, c’è equilibrio. Lui si volta e dà le spalle al campo, che tanto i suoi occhi sono gli assistenti Baioni e Citrini. La mano sul mento e una delle tante scelte: Jones non carbura e Planinic è stanco, quattro piccoli. E partecipa, il coach: tre pugni piantati intensi, lenti, sulla balaustra quando Spissu perde palla.

L’intervallo nello spogliatoio, poi quando i cinque entrano li guarda uno per uno negli occhi, come a chiedergli se ne hanno, e quanta ne hanno. Ci sono. E c’è il coach, che nei timeout sulla lavagnetta (pennarello blu nei primi 20’, rosso nei secondi 20’), spiega un concetto uno ogni volta, trovando grande attenzione.

Ma Venezia scappa avanti, lui si inarca indietro col busto quando uno dei suoi tira da tre, a seguire la parabola. E l’attenzione fissa alla difesa, mentre il dialogo con gli arbitri si svolge sempre con un garbatissimo sorriso. Gli scappa un calcio al divisorio, sì. Per concentrarsi punta il dito al centro della lettera O della pubblicità stampata sulla barriera, entra in campo e l’arbitro lo avvisa, un fallo da tre liberi fischiato a Pierre lo porta per l’unica volta a contatto col presidente Sardara. La Dinamo è sotto. All’antisportivo di Planinic Zare distende le braccia, da -4 a -11, sorride sconsolato al pubblico eppure è solo una battaglia, non la guerra. Non è la resa. La Dinamo ha perso e il coach una volta suonata l’ultima sirena non è più un uomo solo. Fino alla prossima palla a due.

In Primo Piano
Verso il voto

Gianfranco Ganau: sosterrò la candidatura di Giuseppe Mascia a sindaco di Sassari

Le nostre iniziative