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Mondiali di calcio 2018: Spagna

Spagna
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12 giugno 2018
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Vincere in Russia per dimenticare il flop brasiliano e rinverdire i fasti del quadriennio d'oro, ma meglio sarebbe dire 'epopeà, 2008-2012 (due Europei e il Mondiale sudafricano). La Spagna del nuovo corso firmato Julen Lopetegui deve ancora dimostrare di essere all'altezza dei suoi illustri predecessori Vicente Del Bosque e Luis Aragonés, ma certo ha dalla sua una qualità tecnica che ben poche delle 32 nazionali approdate in Russia hanno. Dopo Xavi, Iniesta, Piquè, Torres, Casillas e Ramos, la scuola iberica ha sfornato negli ultimi anni altri talenti e altri fuoriclasse - in tale abbondanza da consentire al suo ct di rinunciare a talenti come Alvaro Morata - facendo ben presto dimenticare la debacle del 2014 (per la prima volta nella storia la squadra Campione del Mondo viene dopo appena 2 partite a un Mondiale). E mettendo anche in un cantuccio quel suo gioco unico, il 'tiki-takà, amato e odiato in tutto in mondo ma di certo anche ammirato e vincente. Se la Roja di Aragones e, sopratutto, di Del Bosque avevano rinunciato a priori a moduli e varianti tattiche per consegnare la squadra a giocatori di prima grandezza, il nuovo corso di Lopetegui è adesso diventata un'altra cosa. Da prigioniera di sè stessa, la Spagna post-Brasile si è trasformata in una 'nuovà squadra, non più involuta e sterile ma di nuovo incisiva e ficcante. Merito del neo ct che, forte dell'esperienza maturata al timone dell'Under 21, è riuscito prima a seminare e poi a raccogliere i frutti del suo lavoro e a dare avvio alla seconda generazione d'oro del calcio spagnolo. La Spagna 2018 non è così più prigioniera del possesso palla e grazie al mix di esperienza e talento è riuscita a creare una nazionale vera e, sopratutto, competitiva dove i vari Asensio, Isco, Thiago Alcantara giocano a menadito lo spartito scritto a memoria da Iniesta, Busquets, Koke, Saul, David Silva. Uguagliare le performance degli eroi del 2008-2012 non è una chimera, a patto che i principi tattici ricercati da Lopetegui siano letti a una sola voce. La qualità c'è, sta al ct e alla vecchia guardia riuscire a trasformarla ancora una volta in un magia pura, così da poter tornare a competere per un Mondiale. Dopo il flop brasiliano e la delusione all'Europeo 2016 in Francia dove fu eliminata dall'Italia di Conte, la Spagna - fondata come sempre sul blocco Real-Barcellona - è stata brava a ripartire e a godere dei frutti della nuova generazione, dove alle novità più talentuose si mescola la maturità della vecchia guardia (Piquè, Ramos, Carvajal, Jordi Alba, Diego Costa). Il gruppo B al Mondiale è più che alla portata (Portogallo, Iran, Marocco), con l'unica incognita legata all'esordio (15 giugno), subito con Cristiano Ronaldo, che potrebbe diventare il trampolino di lancio o, viceversa, trasformarsi in un boomerang.

Andres Iniesta. E stato l'uomo del gol decisivo nella finale di Johannesburg contro l'Olanda nel 2010, ma anche l'uomo che per dieci anni, insieme ad altri 'elettì, ha illuminato le giocate di un 'certo' Leo Messi. 'Don' Andres Iniesta a detta di molti, se non di tutti, avrebbe meritato di vincere un Pallone d'Oro. E ora si presenta al passo d'addio sul palcoscenico del Mondiale, dopo averlo fatto poche settimane fa al Camp Nou: il 'nuovo iniziò per Iniesta si chiama Vissel Kobe, la squadra che milita nella J1, la Serie A giapponese. In poco meno di 20 anni di carriera (stabile in prima squadra dal 2002), ha vinto tutto quello che c'era da vincere, sia indossando ma maglia della Roja, sia quella blaugrana con la quale è diventato quello che è: unico, imprescindibile e vincente. L'ultimo riconoscimento, dal sapore agrodolce, è arrivato postumo, con le scuse di France Football per non avergli mai fatto vincere un Pallone d'Oro. Idolo dei tifosi di mezzo mondo (in Champions quest' anno è stato sistematicamente salutato con applausi dai tifosi avversari ogni volta che è uscito dal campo), don Andres è anche un fenomeno di modestia, al quale non interessano più di tanto i riconoscimenti personali. Per lui viene sempre prima il 'noì dell' 'iò. Insegnamenti che, insieme a un altro demiurgo della calcio spagnolo e catalano come Xavi, ha trasmesso in vent'anni di carriera a tutti i suoi compagni di squadra e che, al di là dei trionfi di club, gli sono valsi due campionati Europei e un Mondiale, e tutti di fila, uno dei cicli irripetibili nella storia del calcio. Prototipo del centrocampista moderno per eccellenza: massa leggera, fisico agile e tatticamente versatile, ricopre con identico elevato rendimento molteplici ruoli di attacco e centrocampo. Ecco perchè è sempre stato ritenuto insostituibile nella Spagna e nel Barcellona, da chiunque fosse in panchina, Pep Guardiola, Luis Enrique, Luis Aragon, Vicente Del Bosque e, ora, Julen Lopetegui. E dire che don Andres ha anche sofferto nella sua vita di una leggera forma di depressione da cui si sollevò proprio mettendo alle spalle di Stekelenburg il gol della vittoria iridata nel 2010. Quel gol storico gli servì anche per condividere con il mondo il ricordo di Dani Jarque, compagno di squadra nelle selezioni giovanili e grande amico, scomparso dieci mesi prima all'Espanyol in seguito ad un arresto cardiaco. Quella tragedia toccò in modo particolare il numero 8 blaugrana, cui la sorte tolse qualche anno dopo anche un altro amico: Tito Villanova. Questa sarà la sua ultima passerella mondiale, come questa che si è appena chiusa è stata anche l'ultima stagione con l'amato Barca, con cui ha vinto otto volte la Liga, sette Supercoppe di Spagna, cinque Coppe del re, quattro Champions League, tre Supercoppe Uefa e tre Mondiali per club. Il futuro si chiamerà Giappone e Vissel Kobe, dove pochi giorni fa è stato accolto come quel che merita: una leggenda del calcio. Ma don Andres ha scelto il Giappone non solo per i soldi (tanti), ma anche per un altro business. Quello dei vigneti, la sua passione. Iniesta è infatti un apprezzato produttore di vini in Spagna con i suoi 'Dulce Corazon' e il 'Corazon Locò, pregiati vini della 'Bodega Iniestà, una volta tanto assist al palato più che a Leo Messi.

Convocati della Spagna: - Portieri: De Gea (Manchester United), Reina (Milan), Kepa (Athletic Bilbao). - Difensori: Carvajal (Real Madrid), Odriozola (Real Sociedad), Piqué (Barcellona), Sergio Ramos (Real Madrid), Nacho (Real Madrid), Azpilicueta (Chelsea), Jordi Alba (Barcellona), Nacho Monreal (Arsenal). - Centrocampisti: Busquets (Barcellona), Saúl (Atletico Madrid), Koke (Atletico Madrid), Thiago Alcantara (Bayern Monaco), Iniesta (Barcellona), David Silva (Manchester City), Isco (Real Madrid), Asensio (Real Madrid), Lucas Vazquez (Real Madrid). - Attaccanti: Iago Aspas (Celta Vigo), Rodrigo (Valencia), Diego Costa (Atletico Madrid). - Ct: Julen Lopetegui.

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