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Sport sardo in lutto 

Addio a Paolo Racugno decano degli olimpionici

Addio a Paolo Racugno decano degli olimpionici

CAGLIARI. A 16 anni ha vinto il suo primo concorso ippico nazionale di fronte al principe Amedeo di Savoia. L'anno è il 1933. «Non ho mai smesso di inseguire il mio sogno: diventare un campione. È...

27 luglio 2018
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CAGLIARI. A 16 anni ha vinto il suo primo concorso ippico nazionale di fronte al principe Amedeo di Savoia. L'anno è il 1933. «Non ho mai smesso di inseguire il mio sogno: diventare un campione. È stato un chiodo fisso». Paolo Racugno aveva le idee chiare. Nato a Iglesias il 7 maggio 1917, è deceduto avantieri. Nel sonno. Un addio a testa alta: le ultime nuotate, stile libero perfetto, al Poetto di fronte al Lido, risalgono all'inizio dell'estate. Poi, un po' di stanchezza si è portata via un gentiluomo maestro di sport. Capace di accudire centinaia di sfollati durante i bombardamenti che nel 1943 rasero al suolo Cagliari. Insuperabile a cavallo («Senza la loro presenza la mia vita non avrebbe avuto senso» dirà all'inviata della Voce di New York, in città per le cento candeline dell'olimpionico sardo), portato per atletica, specie nei lanci, scherma, pugilato, pentathlon moderno. Un signore in campo e nella vita. Garbato, mai sopra le righe.

Nella sua casa di piazza Deffenu trofei e targhe raccontano ottant'anni di trionfi e successi in mezzo mondo. In sella Racugno gareggerà ad alti livelli con i più grandi di tre generazioni. Quel ragazzino smilzo che vince il concorso a due posti per ufficiale di Cavalleria bandito dall'Accademia di Modena, sa il fatto suo. Lo supporta una famiglia di commercianti, dedita al lavoro e appassionata di cavalli. Paolo coglie l'assist. Conclusa l'accademia si laurea a Cagliari in giurisprudenza. Ma non farà mai l'avvocato. Durante la Seconda guerra coordina il personale civile dell'aeronautica sarda. «Ho fatto di tutto, ho anche insegnato l'italiano agli americani». Tempi duri. Ma cavalcare è passione indelebile. Lo nota la federazione. Paolo Racugno in sella ha segnato un'epoca. Con un apice: le Olimpiadi di Melbourne 1956, con le gare di equitazione che si svolsero a Stoccoma. Fa parte della spedizione azzurra in Svezia che, agli ordini di Antonio Gutierrez (salto) e Giuseppe Chiantia (completo), comprende Piero e Raimondo d'Inzeo, dominatori del periodo, Salvatore Oppes, Adriano Capuzzo, Giancarlo Gutierrez e Giuseppe Molinari. Prima, risiede per due anni al Centro preolimpionico di Passo Corese. «La mia miglior gara? A Basilea nel 1954». L'anno seguente, a Londra per il campionato europeo, è ospite a Buckingham Palace. Riceverà il plauso di Elisabetta II e della Regina madre. Forte fisicamente, cultura smodata, a Cagliari ha presieduto per 19 anni il Coni provinciale e fondato e guidato fino al 2006 la sezione Azzurri d'Italia. Nel palmares brilla la Stella d'Oro del Coni al merito sportivo. Era orgoglioso del lavoro fatto con i disabili («Cavalcare e stare vicino ai cavalli aiuta tutti noi a stare molto meglio») e del centro ippico sorto col suo nome ad Assemini. Indole forte e mai domo, per festeggiare i cento anni era volato a Roma per il Concorso ippico internazionale di piazza di Siena. Se ne è andato il silenzio, con l’eleganza di sempre.

Mario Frongia

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