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Pallone, chitarra e mare: Lucas Castro stregato dal Cagliari

di Roberto Muretto
Lucas Castro con i figli in una foto pubblicata su Instagram
Lucas Castro con i figli in una foto pubblicata su Instagram

Il centrocampista argentino racconta la scelta di trasferirsi in Sardegna. «Mi piace vivere la natura, qui ci sono tanti posti splendidi e incontaminati»

16 ottobre 2018
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CAGLIARI. Pallone e chitarra sono gli “arnesi” del mestiere di Lucas Castro. Il calcio è il suo lavoro, la musica una passione. Il centrocampista argentino del Cagliari apre il suo cuore, lo fa in questa intervista nella quale spazia tra passato e presente. Ne viene fuori il ritratto di un ragazzo per bene, maturato in fretta, legatissimo alla famiglia.

Che cosa conta di più nei rapporti di amicizia?
«Al primo posto c’è il rispetto, dopo vengono lealtà e sincerità. L’amico vero deve esserci sempre, nei momenti belli e soprattutto in quelli brutti».

Il ricordo più caro?
«Sono due quelli scolpiti nel mio cuore: quando sono nati i miei figli. Ho assistito al parto di entrambi, ho vissuto un’emozione indimenticabile. Non riesco a descrivere con le parole che cosa ho provato in quei momenti. Li ho anche sognati».

Essere argentino significa?
«Siamo persone passionali, abbiamo uno spiccato senso di appartenza. Viviamo tutto in modo sanguigno, non solo lo sport. Siamo un po’ italiani e un po’ spagnoli, un mix che ci rende speciali».

La sua squadra del cuore?
«Sono nato a La Plata, a 40 chilometri da Buenos Aires. Nella mia città ci sono due squadre, quella più conosciuta è l’Estudiantes. Sono tifoso del Gimnasia La Plata, il club più povero, quello che non ha vinto niente. Ho esordito lì nella serie A argentina, quel club è un pezzo della mia carriera ».

A chi deve dire grazie?
«Ai miei genitori. Mi hanno educato bene, insegnato i valori della vita, a dare la priorità alle cose importanti. Soprattutto da loro ho imparato che quando formi una famiglia ti devi dedicare interamente a moglie e figli».

Il suo colpo migliore?
«Forse è la corsa. Le dico una cosa che probabilmente non tutti condividono: io mi sento forte di testa. Non come Pavoletti ma ho una buona elevazione».

Il suo punto debole?
«A volte sbaglio qualcosa nella fase difensiva. Devo migliorare. Qualche volta sono stato rimproverato dagli allenatori».

Tra i compagni chi fa più “casino” nello spogliatoio?
«Risposta facile: Pavoletti. Prende in giro tutti, si mette d’accordo per fare degli scherzi, ascolta musica a volume altissimo. È un giocherellone, un ragazzo d’oro, sempre positivo. Se sei giù di corda lui cerca di tirarti su il morale».

Se un giorno lascerà Cagliari e avesse la possibilità di fare un’esperienza all’estero, preferirebbe la Premier League, la Liga o la Bundesliga?
«Sicuramente mi piacerebbe giocare in Spagna. Sono argentino e mi sento vicino alla loro cultura. Ma ora il mio pensiero è uno soltanto: fare una grande stagione col Cagliari».

Si ricorda che cosa ha fatto col primo stipendio da calciatore professionista?
«Non era tanto. Allora abitavo nella casa dei miei genitori che non erano ricchi ma non ci hanno mai fatto mancare nulla. Li ho aiutati a pagare alcune cose e poi mi sono comprato una chitarra che conservo ancora».

Si sente il pupillo del tecnico Rolando Maran?
«In qualche modo sì. Ho trascorso tanti anni con lui come allenatore e tra noi si è creato un rapporto di reciproca fiducia. Non sono sempre state rose e fiori, qualche volta ci siamo mandati a quel paese. Lo apprezzo perchè dice le cose in faccia e se non lo merito resto fuori. Io so di avere delle qualità, ma se il mister non mi fa giocare, è perchè si accorge che non sono al meglio. Io rispetto le sue scelte».

Utilizza i social?
«Sì ma non per il calcio. Se andate sul mio profilo ci sono pochissime foto da calciatore. In molti mi chiedono se sono un cantante perchè mi vedono suonare la chitarra. Una volta mi hanno scritto così: mi dici in che gruppo suoni? Gli ho risposto: gioco nel Chievo. Quasi quasi non ci credevano».

Lei è in Sardegna solo da qualche mese, ha già un piatto preferito?
«Lo so di dire una cosa impopolare, ancora non ho mangiato cibi sardi. Per me sono stati mesi di adattamento, ho fatto il trasloco, portato qui la mia famiglia, ho pranzato o cenato quasi sempre ad Asseminello. Ho voglia di scoprire la vostra cucina. Sono una buona forchetta».

Che cosa sta apprezzando di più di Cagliari e della Sardegna in generale?
«Ho visitato posti meravigliosi la scorsa estate. Qui ci sono ancora delle zone naturali, bellezze incontaminate. Voglio scoprirle piano piano. Alla mia famiglia piace tantissimo il mare, la tranquillità. Siamo contenti di essere venuti in Sardegna, ci auguriamo di restarci a lungo».

Lei e la musica avete un rapporto speciale?
«Quando suono o ascolto la musica mi estraneo. Ho come la sensazione di stare fuori dal mondo. Non mi rendo conto nemmeno del tempo. Poi guardo l’orologio è mi accorgo che sono passate due o tre ore».

Scusi ma viene quasi da pensare che lei ama più i la musica del calcio. È così?
«Due cose completamente diverse. Il calcio è il mio lavoro. Lo svolgo con tanta passione e dedizione. La musica è un qualcosa di cui non posso fare a meno. Mi prende così tanto che una volta ho rischiato di dimenticarmi di andare a prendere miei figli da scuola. Poi ho guardato l’orologio e sono arrivato in tempo, altrimenti mia moglie non mi avrebbe perdonato».

Quando sta a casa parla di calcio con la sua famiglia?
«Guardi, una volta fuori dal campo cerco di distrarmi con altre cose. Non mi piace vivere solo di pallone, nella vita ho anche altri interessi. Non sempre guardo le partite in televisione, Giocare mi diverte, guardare no. Mio figlio Dante, invece, è malato di pallone».

In che senso?
«Ha solo sette anni e conosce tutti i giocatori. Le faccio un esempio: quando in tv ci sono le partite delle nazionali lui mi dice: questo giocatore è col Liverpool, quest’altro col City, quest’altro ancora con lo United. Lo guardo e resto praticamente a bocca aperta. Certe cose non le so neppure io».

Le chiede di portargli a casa qualche maglietta?
«Sì. Sono settimane che mi tormenta, vorrebbe quelle di Ronaldo e Higuain. Spero di poterlo accontentare».

Viene allo stadio?
«Sempre. Non solo, giudica la mia prestazione. È’ un bambino sensibile, quando faccio gol si commuove».

Faccia una promessa al presidente Giulini.
«Darò tutto me stesso per la maglia rossoblù. Non dovrà mai avere dubbi sul mio impegno, dal campo esco sempre dopo aver dato il massimo. Lui ha avuto fiducia in me acquistandomi e quindi facendo un investimento. È mio dovere ripagare giocando grandi partite. Non se ne pentirà».

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