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«Il Poz? “Un ragazzaccio” che chiede ma ti dà tanto»

di Gianna Zazzara
«Il Poz? “Un ragazzaccio” che chiede ma ti dà tanto»

Giorgio Gerosa, 34 anni, di Como, è uno degli assistant coach della Dinamo «Sappiamo di essere la squadra del momento, ma la pressione fa bene» 

19 ottobre 2019
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SASSARI. «Pozzecco? È un “ragazzaccio” che chiede molto ma ti dà tanto. E, cosa importante, permette ai ragazzi di sbagliare e questo non è così frequente nel basket. Se avesse fatto il cantante? Avrebbe scelto sicuramente gli AC/DC, rock puro, forte, proprio come lui. Col capello più lungo sarebbe perfetto».

Giorgio Gerosa, 34 anni, comasco, è uno degli assistant coach di Gianmarco Pozzecco (l’altro è Edoardo Casalone), con la passione per la musica. «Da ragazzo ero il frontman di un gruppo metalcore, musica vera. Anni bellissimi. Poi ho dovuto scegliere tra la musica e il basket». Certo, Giorgio non avrebbe mai pensato di finire in panchina. «Il basket è sempre stata la mia vita. Ho giocato fino a 16 anni col Cantù, poi ho avuto il primo incidente: rottura del crociato del ginocchio sinistro. Operazione e riabilitazione. Neanche il tempo di riprendere a giocare e il ginocchio mi ha abbandonato di nuovo: altra rottura del crociato. A quel punto non c’era più nulla da fare». Giorgio aveva solo 16 anni e tutto il peso del mondo sulle spalle. Ma è allora che scopre cosa ha in serbo il futuro per lui.

«A Cantù mi propongono di allenare i ragazzini». Ed è la svolta. Nel 2016 la Dinamo lo sceglie per guidare il settore giovanile. Un anno fa il salto nella prima squadra, prima con Esposito e ora con Pozzecco. «Il passaggio dall’uno all’altro? Non è stato facile, ma neanche troppo difficile. Sono stati entrambi grandi giocatori e quindi il loro è un approccio diretto. Pozzecco appena è arrivato ci ha detto: “Voglio solo positività e basta”. Era quello che volevo sentirmi dire». A quel punto inizia una nuova stagione per la Dinamo. «In campionato dopo la vittoria col Pistoia è scattato qualcosa, non so dire cosa. Era la stessa squadra, ma con qualcosa in più». Un’alchimia che permette di portare a casa la Fiba Europe Cup e la finale scudetto. «È stata un’annata memorabile».

Ma dietro ai risultati c’è tanto lavoro. «Tanto, tantissimo. E ogni volta è diverso, perché la partita si prepara in base ai giocatori che hai davanti. Analizziamo per ore i video delle partite per scovare i punti di forza e di debolezza degli avversari e costruiamo la strategia. È un lavoro di cesello che si fa a tavolino, le partite non si preparano solo in palestra». Anche se, ovviamente, gli allenamenti sono fondamentali. «Almeno quattro ore al giorno, tra sala pesi e allenamenti in campo. Certo, ora la preparazione è diversa rispetto al passato. Oggi è più un lavoro di prevenzione che di carico. Si lavora molto a corpo libero, con gli elastici, e si prediligono gli esercizi di stabilizzazione a quelli con i pesi. Lo si vede anche dai risultati, i corpi degli atleti sono molto più armonici dei giocatori di basket di vent’anni fa. Con questo tipo di allenamento si prevengono soprattutto gli infortuni. Se da ragazzino mi fossi allenato in questo modo oggi forse non sarei in panchina, ma sul parquet». Quanto è dura stare a bordo campo a vedere i ragazzi giocare? «Soffri sempre, ma è giusto così».

Intanto Gerosa e compagni si preparano alla trasferta per la Champions League. Mercoledì si gioca ad Ankara contro il Turk Telekom. «È una delle squadre più toste con dei veri campioni, come Williams. È un campo ostico, anche perché in Turchia il basket è uno sport seguitissimo e il palazzetto sarà molto caldo». Ma la Dinamo è pronta, decisa a non fare sconti a nessuno, neanche ai turchi. Anche perché ha gli occhi di tutti addosso, dopo l’exploit nel campionato scorso e la recente vittoria della Supercoppa contro la Reyer Venezia, che le ha strappato lo scudetto di mano. «Sappiamo di essere la squadra del momento, ma la pressione fa bene. Se la sai usare a tuo favore ti permette di dimostrare quanto vali. Poi, certo, per i ragazzi l’importante è giocare e divertirsi. Il nuovo roster? Abbiamo cambiato diversi giocatori, però resta un gruppo storico formato da Spissu, Gentile, Magro e Bucarelli che aiuta a portare avanti una filosofia di lavoro e di gioco che dà solidità a questo progetto. Siamo agli inizi ma il gruppo c’è. Il nostro obiettivo? Arrivare il più lontano possibile».

C’è qualcosa che non sopporta della Dinamo? «Gli americani durante le trasferte in autobus ascoltano solo hip hop e io proprio non lo reggo».

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