La Nuova Sardegna

«Giacomo Tachis, genio assoluto dell’enologia»

di Pasquale Porcu
«Giacomo Tachis, genio assoluto dell’enologia»

L’inventore del Terre Brune morto un mese fa Il ricordo di Antonello Pilloni e di Franco Argiolas

04 marzo 2016
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Tignanello, Sassicaia, Solaia: il firmamento del vino italiano porta il suo nome. Se si scorre la biografia di Giacomo Tachis, il grande enologo morto poco più di un mese fa, si nota che le tappe più significative della sua vita portano in Toscana, dove ha lavorato per oltre 30 anni da Antinori, in Sicilia e in Sardegna. Ma è soprattutto alla nostra isola che Tachis, piemontese, si è sentito legato.

La prima volta venne in Sardegna affascinato dai nuraghi e dalle Domus de Janas. Il padre dei Supertuscan ha sempre amato le isole. Ma il sole e la natura della Sardegna erano, per lui, i più caldi e i più selvaggi e il vino che si poteva ottenere da uve magnifiche, una volta in bottiglia, non soffriva la solitudine per la mancanza di compagnia di vitigni internazionali. L’impatto del grande piemontese con le uve dell’Ogliastra è stato fortissimo. Dall’enologo della cantina di Tortolì, Giulio Deiana, si faceva fare del mosto con cui da Antinori in Toscana faceva una sorta di Porto. «Sapevo chi era – racconta Antonello Pilloni, presidente della Cantina di Santadi – ma lo conobbi personalmente solo agli inizi degli anni Ottanta. Allora ero presidente delle Cantine sociali sarde, che avevano una gran quantità di vino sfuso invenduto. C’era bisogno di una soluzione e la trovammo a Firenze dagli Antinori, dove Giacomo Tachis ci dette la sua disponibilità». «Cominciammo a imbottigliare –prosesgue Pilloni – e a vendere il vino in Europa e negli Usa. Poi cambiò l’assessore all’agricoltura regionale e tutto andò in malora. Ma io non volevo rinunciare a Tachis e gli proposi di fare da consulente per la cantina di Santadi. Era l’aprile del 1984».

Quelli erano gli anni nei quali la Cee incentivava la politica degli espianti dei vigneti. E molti viticoltori, vista la situazione di crisi del mercato, si fecero tentare.Ma l’entusiasmo di Tachis era trascinante. Il Carignano, poi, era uno dei suoi vitigni preferiti. «Tachis ci spinse a usare il Carignano con le bacche più piccole – dice Pilloni – più ricco dei profumi che bisogna trovare in quel vino. E, per la prima volta in Sardegna, lo affinammo nelle botti da 225 litri, le barrique. Non dimentichiamo poi che Tachis è stato il primo in Italia a propugnare la fermentazione malolattica, che conferisce al vino una morbidezza e una rotondità prima sconosciute. La rivoluzione contagiò anche le uve bianche: da qui la nascita del Villa Solais».

Se è sacrosanto riconoscere la grandezza di Tachis nella svolta della enologia isolana degli anni Ottanta, è doveroso rendere merito ad Antonello Pilloni che, prima di tutti gli altri in Sardegna ha intuito che quel poeta del vino avrebbe affrancato il nostro Carignano dal ruolo gregario che aveva avuto prima del Terre Brune. «Il Carignano – spiega Pilloni – è una varietà gentile, nel senso che ha una grande nobiltà di fondo. Stile e classe non le fanno difetto. Diciamo che dà vita a rossi aristocratici, ricchi di polifenoli e di tannini dolci. Un altro tratto saliente è che si presenta come un vino prettamente marittimo: basti pensare che a Porto Pino le viti sono letteralmente spruzzate dall’acqua del mare, tanto sono vicine alla costa».

Proprio dal Carignano, unito a un 5% di Bovaleddu, nasce appunto il Terre Brune. E sulla scia di quel grande vino sono stati ideati a Santadi altri rossi: il Grotta Rossa e il Rocca Rubia. Tachis amava molto anche altri vitigni sardi, dal Nuragus al Cannonau. E fu su questo ultimo che puntò quando la famiglia Argiolas chiese la sua collaborazione. Ma perché il Cannonau? Perché, diceva Tachis, la fortissima connotazione dei vitigni autoctoni rendeva inutile l’utilizzo di uva internazionale. Su questa intuizione nacque il Turriga. «Per noi – ricorda Franco Argiolas – Tachis ha rappresentato una svolta importante. Ci ha dato certezze anche sul piano dell’organizzazione aziendale. Ci diceva sempre: “Uno di voi deve avere sempre la valigia pronta”. Il vino, cioè, è importante farlo ma anche venderlo. Era esattamente quello che volevamo sentirci dire».

Nell’agosto 2002 nasce poi una nuova realtà nel Sulcis, l'Agricola Punica. Protagonisti sono Antonello Pilloni, il Marchese Niccolò Incisa della Rocchetta, Sebastiano Rosa (manager della tenuta San Guido) e Giacomo Tachis. Il primo frutto di quella società si chiama Barrua, un capolavoro dell’enologia italiana, morbido, elegante ed equilibrato. «La nostra isola – dice Pilloni – deve a Tachis una grande riconoscenza». Nel 2010 i rotariani di Cagliari, su impulso del professore Angelo Aru, gli hanno tributato il prestigioso premio “La Marmora”. Ma sarebbe giusto che un riconoscimento arrivasse anche dal mondo del vino sardo e dalle istituzioni sarde.

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