La Nuova Sardegna

Fisica e archeologia, scienze che s’incontrano

di Pasquale Porcu
Fisica e archeologia, scienze che s’incontrano

Un convegno ieri a Sassari ha messo a confronto gli studi sul piombo romano utile per capire i misteri dell’universo

16 marzo 2016
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SASSARI. La fisica dei neutrini e la chimica possono essere i formidabili strumenti che aiutano a capire i più affascinanti segreti dell'archeologia. E, viceversa, quest'ultima può fornire i materiali che aiutano la scienza a spiegare la nascita e l'evoluzione dell'universo dopo il Big Bang. Su questi temi, ieri mattina, l'aula magna della università di Sassari ha ospitato un importante convegno che ha celebrato la collaborazione tra l'Infn (istituto nazionale di fisica nucleare), i laboratori del Gran Sasso e l'università di Sassari.

L’evento, promosso dall’ateneo e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è stato introdotto dagli interventi dal rettore Massimo Carpinelli (che come fisico ha legato il proprio nome a importanti ricerche sul tema), e dell’Accademico dei Lincei Ettore Fiorini, fisico dell’università e dell’Infn Milano Bicocca.

Ma che cosa c'entrano i neutrini con i Beni Culturali? Tutto nasce, ha spiegato Fiorini, agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, dal ritrovamento, al largo dell'isola di Mal di Ventre, del relitto di una nave romana che proveniva dalla Spagna e che trasportava circa duemila lingotti di piombo. Il metallo, si sa, veniva impiegato nell'antica Roma sia in edilizia che per scopi militari. Ed è stato, forse, per impedire che il prezioso carico finisse nelle mani nemiche che il capitano della nave ha preferito fare naufragare l'imbarcazione. La particolarità di quel piombo, rimasto sott'acqua per duemila anni è che ha perso tutta la radioattività che, “fisiologicamente” ha il piombo in natura. E per questo, non emettendo più radiazioni, è straordinariamente utile nelle ricerche della fisica delle particelle subatomiche. E pur di avere una parte di quel 990 lingotti di piombo l'Infn, a suo tempo, ne ha finanziato l'opera di recupero. Una spesa che la soprintendenza archeologica della Sardegna non poteva sostenere.

L'uso di quei lingotti “vergini” da radiazioni ha consentito di avviare un periodo di ricerche particolarmente felice. Con una battuta, il professor Fiorini, chiama quel periodo “anni di piombo” da contrapporre ai tragici omonimi anni del terrorismo.

Inutile dire che per portare avanti gli esperimenti sono state messe a punto delle tecnologie di grande precisione che oltre che in fisica si sono rivelate utilissime anche in altri campi, dalla storia dell'arte all'archeologia, fino alle indagine sulla composizione degli alimenti di oggi o del passato (le cosiddette paleodiete).

Una parte dei lingotti recuperati a Mal di Ventre vengono utilizzati dall'Infn nei laboratori del Gran Sasso, a una profondità di 1400 metri sotto terra (per evitare le radiazioni cosmiche che potrebbero interferire e disturbare quegli esperimenti). Il progetto che da tempo si porta avanti in Abruzzo si chiama Cuore (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events) che, attraverso uno strumento che raffredda una tonnellata di materia a qualche millesimo di grado sopra lo zero assoluto. In particolare si vuole sapere se sia corretta la teoria avanzata dal fisico Ettore Majorana che poco prima di sparire nel nulla nel 1934 aveva ipotizzato un fenomeno fisico rarissimo, detto doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Se fosse giusta l'ipotesi di Majorana si spiegherebbe cosa è successo dopo il Big Banf e perché nell'universo in cui viviamo la materia prevale sull'antimateria, ha spiegato ieri mattina Oliviero Cremonese dell'Infn di Milano Bicocca.

Dell'uso di strumenti di analisi non invasive applicate nello studio di opere d'arte dell'archeologia hanno parlato Stefano Nisi dei laboratori Gran Sasso, Massimiliano Clemenza dell'Infm di Milano Bicocca e Gabriele Mulas dell'università di Sassari. Strumenti, ormai, che sono facilmente trasportabili e che fanno parte della rete tra enti di ricerca (dall'Enea al Cnr, all'Opificio delle Pietre Dure di Firenze) coordinata dall'Infn. «Una tecnologia e una conoscenza_ ha detto Speranza Falciano, vivepresidente dell'Infn_ che mettiamo a disposizione di enti, musei, soprintenedenze e privati».

Offerta colta al volo da Marco Minoia soprintendente archeologo della Sardegna, che ha candidato il laboratorio di restauro di Li Punti a ospitare un campo di formazione in cui le sofisticate metodologie della fisica vengano messe al servizio dei Beni culturali. La candidatura di Sassari è stata immediatamente accolta dalla Falciano, consapevole dell'importanza del patrimonio archeologico della nostra isola e del ruolo che fino a ora ha giocato l'ateneo turritano nella ricerca scientifica al servizio dell'archeologia, come ha sottolineato durante i lavori, il rettore Massimo Carpinelli.

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