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CINEMA

di FABIO CANESSA
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di FABIO CANESSA «Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia». Si apre con questa frase, su sfondo nero, il film “La macchinazione”. Con un...

26 marzo 2016
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di FABIO CANESSA

«Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia». Si apre con questa frase, su sfondo nero, il film “La macchinazione”. Con un passaggio del famoso articolo di Pier Paolo Pasolini “Che cos’è questo golpe? Io so”, pubblicato sul Corriere della Sera il 14 novembre del 1974. Un anno dopo, lo stesso mese, verrà ucciso in circostanze mai del tutto chiarite. Per il regista David Grieco, già suo amico e collaboratore, proprio perché sapeva, perché come vero intellettuale aveva il coraggio di raccontarlo, perché stava mettendo insieme i pezzi per farlo in quel romanzo-inchiesta rimasto incompiuto che è “Petrolio”. Allo stesso modo si muove Grieco che nel film ipotizza dietro l'omicidio un quadro ben più articolato di quello raccontato dalla verità giudiziaria che ha portato alla condanna come unico colpevole dell’allora minorenne Pino Pelosi. Per il regista, come scrive nelle note di presentazione, «la morte di Pasolini è stata pianificata nei minimi particolari da tanti complici volontari e involontari, tutti uguali e tutti ugualmente colpevoli». Una macchinazione all’interno della quale rientrano esponenti della criminalità organizzata, del potere politico, economico, massonico e che si consuma nella tragedia all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975 e nell'insabbiamento di una verità ancora oggi da scrivere.

CRONACA E THRILLER. Il film si concentra sugli ultimi mesi di vita di Pasolini. All’inizio le parole che arrivano da una radio fanno capire che è l’estate del 1975. Dopo il voto alle regionali c’è grande euforia a sinistra, il Partito comunista avanza e sembra poter riuscire presto ad arrivare al governo del Paese. Ma Pasolini non condivide tutto questo entusiasmo. A suo modo di vedere l’Italia si sta in realtà spostando a destra, sullo slancio di una cultura consumistica che appare in grado di omologare tutto e rischia di diventare una dittatura anche peggiore del fascismo. Vita, morte, pensiero. Grieco cerca di tracciare un ritratto che restituisca, tramite passaggi significativi, la complessità della vicenda e dell’interpretazione pasoliniana della realtà. Così se la trama principale è quella relativa all’oscura cospirazione che porta al delitto, raccontato con i canoni del thriller, d’altra parte il film si concentra sul quotidiano del grande intellettuale.

VISIONI E CONTRADDIZIONI. La frequentazione con Pelosi, il rapporto con la madre, le partite a calcio, l’auto sportiva, i momenti dedicati alla scrittura e alla riflessione portano lo spettatore a contatto con il mondo di Pasolini, uomo e pensatore. Con le sue idee e analisi così penetranti, a volte contraddittorie (le dichiarazioni sull’abolizione della scuola dell’obbligo), lungimiranti. Per quest’ultimo aspetto il regista utilizza una scena visionaria: Pasolini sta camminando per strada con un giornalista francese e a un certo punto vede delle persone che avanzano in vestiti contemporanei e cellulari in mano. L’idea è chiara, ma la scena nel contesto funziona poco e finisce per essere un po’ banale. A livello di sensazioni dà invece qualcosa, a una costruzione attenta dal punto di vista estetico ma poco incisiva cinematograficamente, la colonna sonora con “Atom Heart Mother” dei Pink Floyd.

SALO' E PETROLIO. L’ultima opera cinematografica e l’ultima letteraria. Per “La macchinazione” ordita ai danni dell’intellettuale diventano importanti, mostra nel film David Grieco, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, da poco finito ma presentato dopo la sua morte, e “Petrolio”, il romanzo che Pasolini stava scrivendo e rimasto incompiuto. Dal furto delle pizze delle pellicola, che già prima dell’uscita fece scandalo, prende infatti il via la macchinazione: si tratterebbe dell’espediente usato per attirare Pasolini, con la scusa di restituire le bobine in cambio di soldi, nel posto dove sarebbe stato ucciso da uomini della criminalità romana. Ma perché ucciderlo? Il movente, suggerisce il film, è da trovare prima di tutto nel libro che stava scrivendo: “Petrolio”. Un romanzo con il quale stava indagando sulla corruzione politica. Nel film si vede Pasolini che incontra anche Giorgio Steimetz, fantomatico autore di “Questo è Cefis”, libro di denuncia contro il potente imprenditore Eugenio Cefis protagonista anche in “Petrolio” con il nome di Aldo Troya.

PASOLINI E RANIERI. Lo ricorda lo stesso David Grieco nelle note di regia. Pochi mesi prima di morire Pasolini, seduto accanto a Ranieri in uno spogliatoio prima di una partita di calcio gli disse: «Sai che è proprio vero che tu ed io ci somigliamo molto?». Grieco non poteva dunque che scegliere l’attore napoletano per interpretare l’autore della “Ceneri di Gramsci”. E in certe inquadrature Ranieri sembra proprio Pasolini. Funziona tutto sommato anche dal punto di vista della recitazione, con una prova trattenuta che riflette il pessimismo dell’intellettuale pronto ad andare incontro alla morte. Molto caricata, fin troppo, la prova invece di Matteo Taranto nei panni di Sergio, figura tramite tra la bassa e alta criminalità romana che in una scena imita anche Volonté in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. Ci sono poi un discreto Libero Di Rienzo, che interpreta quell’Antonio Pinna poi misteriosamente scomparso, e il giovane Alessandro Sardelli, nei panni di Pino Pelosi, che sembra davvero un ragazzo di borgata pasoliniano. Più di contorno Roberto Citran (Steimetz) e Milena Vukotic (la mamma).

Se sul cast non si possono muovere particolari critiche, il film nel suo complesso non convince pienamente risultando narrativamente un po’ macchinoso e registicamente abbastanza piatto. D’altronde affrontare con un film Pasolini, quello che rappresenta, anche con la sua morte, è impresa forse impossibile.

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