La Nuova Sardegna

L’architetto sardo che firmò il primo grattacielo italiano

di Sandro Roggio
 L’architetto sardo che firmò il primo grattacielo italiano

Un libro sull’opera di Armando Melis De Villa “L’incanto della Torre” di Gian Luca Giani

30 marzo 2016
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di Sandro Roggio

È capitato spesso in Sardegna di celebrare architetti provenienti da Torino. Ma è una circostanza inedita se una volta possiamo parlare di un architetto sardo che si è affermato in Continente: Armando Melis De Villa trasferito nel 1909 per completare gli studi al Politecnico di Torino, appunto. La città dove ha svolto l' attività professionale e di docente, una carriera brillante senza che di ciò arrivassero notizie ai sardi, orgogliosi dei concittadini che si fanno valere fuori dall' isola.

L'opera di Melis ha ormai un apprezzamento diffuso, ben oltre la cerchia piemontese. Utenti fiduciosi e detrattori di Wikipedia scopriranno che la sua Torre Littoria, nel centro di Torino, è tra i capolavori del "Razionalismo italiano" insieme alla Casa del Fascio di Como di Giuseppe Terragni e alla Stazione di Firenze di Giovanni Michelucci (oltre a Sabaudia e ad opere più famose realizzate in quegli anni). Melis prometteva bene e Marcello Piacentini, in «Architettura d'oggi» (1930), lo aveva incluso tra gli architetti italiani nella ricognizione conciliante sulla produzione internazionale.

Un successo annunciato ma non scontato: Melis nato a Iglesias, classe 1889, famiglia appena benestante, adolescenza nell'orbita di Cagliari dove ha studiato fino al diploma. Il padre ingegnere, preside dell'istituto tecnico della città sulcitana, morto prematuramente, la sorella Amelia scrittrice e amica di Grazia Deledda. Delle origini in terra sarda si saprebbe molto poco se non fosse uscito in questi giorni, a cura di Gian Luca Giani, nipote di Melis, un libro che colma lacune e suggerisce approfondimenti.

Un lavoro atteso, al quale l'autore si è dedicato a lungo studiando i documenti ereditati dal nonno, oggi custoditi dal Politecnico (2600 disegni), e dalla Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte "G. Grosso" di Torino (le carte nel Fondo Melis-Bertagna). Il libro di Giani «L'incanto della Torre» (edizioni Yume) concentra l'attenzione sul monumento moderno più discusso del capoluogo piemontese, come dice il sottotitolo, ma estende la riflessione all'opera dell' architetto e urbanista, nello sfondo le trasformazioni di Torino in quell'epoca. La Torre Littoria, completata nel 1934, non ha mai ospitato la sede del Partito Nazionale Fascista, come si vociferava, ma soltanto le funzioni decise dalla Società Reale Mutua Assicurazioni che aveva investito nella innovativa costruzione in piazza Castello, ed è ancora proprietaria del “primo grattacielo italiano”, alto un centinaio di metri (un primato sempre incerto, come è noto). Struttura metallica elettrosaldata, secondo il progetto complice l'ingegnere Giovanni Bernocco, utilizzata insolitamente nell'edilizia civile. Tecnica sperimentata da Melis per la sede di Reale Mutua in via Corte d'Appello, come si faceva in America, si spiega nel libro. Ma va ben oltre i clamori della Torre la biografia di Melis, soprattutto per il ruolo rilevante nel dibattito sul governo del territorio, negli anni Trenta ancora interno a un' élite. L'Istituto Nazionale di Urbanistica è stato immaginato a Torino nel 1926 con il concorso di Melis, secondo il resoconto che ne fa nel bollettino n. 1- 1932 della sezione piemontese da cui l'INU discende.

Melis è con Pietro Betta tra i fondatori di «Urbanistica» che ha diretto dal 1932 al 1944, mentre si occupava, nello stesso decennio, della rivista «L'Architettura italiana ». Redattore di numerosi piani urbanistici (Verona, Vercelli, Alessandria, Verbania), ha continuato l'attività di progettazione di edifici per committenti prestigiosi, non solo in Piemonte, fino a qualche anno prima della scomparsa nel 1961.

Alla Sardegna Melis ha guardato con distacco (nelle sue carte solo qualche accenno al centro di Cagliari). Consolidato il rapporto con Torino, è tornato raramente a Iglesias, anche perché dei familiari non era rimasto quasi nessuno nell'isola. Né gli sono state offerte occasioni di lavoro in Sardegna, nonostante le spedizioni del Regime per realizzarvi città ideali, come Carbonia per combinazione nei pressi di casa sua. Nel 1928 un' opportunità inattesa per confrontarsi con le proprie origini: il progetto per il padiglione della Sardegna realizzato in occasione della Esposizione Nazionale Italiana di Architettura al Valentino. L'architetto che stava immaginando la provocatoria torre futurista giustapposta ai monumenti del Barocco, evocava l'isola con il portale nuragico che introduce allo stereotipo della casa sarda rustica nel recinto. Più che l'architettura riguarda l'iconografia della Sardegna, il luogo comune al quale pure gli architetti "novatori" hanno contribuito.

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