La Nuova Sardegna

L’accabadora di Enrico Pau fra tradizione e modernità

di Fabio Canessa

La prima della pellicola al festival IsReal organizzato a Nuoro dall’Isre La devastazione delle bombe su Cagliari rompe il cerchio chiuso dei valori arcaici

08 aprile 2016
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NUORO. Quando nel 2007 Enrico Pau inizia a pensare seriamente al film, la discussione sull’eutanasia è più viva che mai. Accesa dalle vicende legate ai casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Il racconto della figura dell’accabadora – che sia realmente esistita oppure no poco importa – può essere per il regista cagliaritano un contributo al tema attraverso il cinema. Purtroppo la gestazione è più lunga del previsto, complici dei problemi produttivi, e quel film cominciato con la stesura del soggetto ormai tanti anni fa vede la luce molto più tardi. Mercoledì sera l’anteprima assoluta, a Nuoro per l’apertura del festival del cinema del reale: IsReal.

Se pensando alla leggenda dell’accabadora viene in fondo facile associarla al dibattito sull’eutanasia, il film di Pau non è però certo rigidamente a tema e la questione della “buona morte” entra nella storia di Annetta, la protagonista, in un modo che appare naturale, spingendo sì alla riflessione ma non soffocando il film con un argomento legato a quel problema morale così discusso. L'attenzione è sul racconto di una storia, di finzione ma non per questo meno reale. E non solo perché lo sfondo storico è ben delineato e fondamentale nella narrazione che ruota – come spiegato dallo stesso Pau nelle note di regia – attorno a tre elementi: morte, guerra, amore.

Lo spettatore entra in contatto con questa realtà attraverso lo sguardo del personaggio di Annetta, una misurata ma allo stesso tempo intensa Donatella Finocchiaro, che vive in un microcosmo arcaico condannata a un macabro ruolo che ha ereditato dalla madre. La sua vita è segnata dalla tradizione che l’ha seppellita sin da bambina in una fossa, a contatto con la morte. Morte che la segue anche quando per ritrovare la nipote (la giovane attrice Sara Serraiocco) si trasferisce a Cagliari perché proprio in quel momento – è il 1943 – la città comincia a essere bombardata. Eppure tra la distruzione, la devastazione provocata dalle bombe qualcosa in lei cambia. A Pau interessa cogliere questo momento di passaggio, personale ma anche collettivo. Quello legato a una tragedia che ha segnato la storia della sua città alla quale rende un omaggio sincero. Non si vede la deflagrazione degli ordigni sganciati dagli aerei Alleati, al regista interessa di più mostrare la paura (e il coraggio) di chi allora rimase a Cagliari mentre molti sfollavano. Le sirene, le corse ai rifugi, la speranza che tutto passi in fretta, le macerie lasciate dalle bombe. Commoventi a riguardo le parole di un personaggio importante, Albert, un dottore (l’attore irlandese Barry Ward), che passa dove c’era una volta la sua casa e ripensa alla madre. Attraverso lo stesso personaggio Pau ricorda poi il cineamatore Marino Cao, che filmò l’uscita di Sant’Efisio nella Cagliari martoriata di quel periodo.

Al di là della storia raccontata, un dramma che può coinvolgere più o meno lo spettatore, “L’accabadora” colpisce sicuramente per l’aspetto tecnico. In particolare le scelte cromatiche, il lavoro sulle luci, la fotografia (firmata da Piers McGrail). Enrico Pau, presentando il film, aveva detto di ricercare dei colori vicini alla pittura fiamminga. E certe scene in interni, soprattutto nella parte girata nel villaggio di Annetta (nella realtà Collinas), sembrano davvero uscite da un quadro di Veermer. Pur raccontando un’isola arcaica, cambiando rispetto ai suoi precedenti film per i quali aveva scelto ambientazioni urbane, Pau si allontana, già dai colori, da un’idea classica dell’isola. Ormai uno stereotipo. E la scelta è ancora più evidente nella decisione precisa di non mostrare pecore o la Sardegna aspra e rocciosa del Supramonte, così spesso filmata da altri registi. Punta sulla morbidezza delle colline ingiallite dal sole, ricoperte di spighe che fluttuano spinte dal vento nelle immagini più poetiche del film, che dal festival di Nuoro parte ora verso la sua nuova vita. Quella vera che comincia quando un’opera cinematografica inizia a confrontarsi con il pubblico. A maggio dovrebbe sbarcare nelle sale.

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