La Nuova Sardegna

«C’è ancora del marcio nel mondo del pallone»

di Giovanni Dessole
«C’è ancora del marcio nel mondo del pallone»

Calcio e legalità, Oliviero Beha al convegno organizzato a Sassari dalla Fondazione Sef Torres

01 maggio 2016
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SASSARI. «Nel mondo del calcio si fa finta che il sistema sia sano. In realtà il sistema è marcio, coinvolge direttamente l'indotto mediatico e per questo non viene alla luce. Io però sono un traditore dell'omertà, e non sto al gioco». Oliviero Beha, giornalista che tante volte ha affondato la penna nei meandri più oscuri della storia italiana del calcio, non è uno che le manda a dire. Non risparmia nessuno Beha, attacca con garbo e regala stilettate alla platea del convegno “Calcio e legalità dagli anni ’80 allo scandalo Dirty Soccer: un mare di scommesse”, organizzato nei giorni scorsi scorso alla Camera di Commercio dalla Fondazione Sef Torres 1903.

«Mi auguro di non parlare soltanto a tifosi della Torres o di altre squadre. Credo di parlare ai cittadini – dice Beha in apertura –. Ben venga il calcio se riesce a generare un associazionismo culturalmente di peso come la Fondazione Sef Torres, una rarità e un paradosso, perché fa effetto pensarla inserita in un contesto fallimentare societario». A dialogare con lui, con il giornalista Pietro Masala, moderatore, e il magistrato Paolo De Angelis, uomo di giustizia e uomo di sport. L'introduzione è affidata al presidente della Fondazione Torres, Umberto Carboni: «Da un anno poniamo il problema, ora la piazza inizia a capire la gravità di quanto accaduto a Sassari e di quel che potrebbe accadere alla Torres. Abbiamo il dovere di tutelare la Torres e i valori che da 113 anni rappresenta. Spero che questo incontro porti ad un cambio di mentalità: il calcio sano deve prevalere su tutto. La Torres non ha bisogno di capitani di sventura, faccendieri e personaggi legati alle scommesse. Su questo non siamo disposti a negoziare».

Gli spunti non mancano, a partire dalle vicende della Torres. Ma il discorso è più complesso e generale.De Angelis, magistrato con grande esperienza in seno alla giustizia sportiva, fonda le sue tesi sul diritto positivo e sulla positività di approccio, e fotografa un mondo del calcio specchio della società italiana: «All'interno della giustizia le persone sono qualificate, c’è autonomia, ma il problema è legato al sistema che però, per impostazione generale, si autoprotegge. Si scommette sulle partite, truccandole. È un gioco a vincere: le scommesse portano illecito sportivo, corruzione sportiva». «Si fanno i conti con una dimensione di omertà assoluta, coltre che la giustizia ordinaria è riuscita a penetrare con le intercettazioni – prosegue De Angelis –. C'è una perdita di valore dello sport sul piano morale. Avremmo bisogno di più esempi positivi».

Le posizioni di De Angelis e Beha sono coincidenti e differenti. Oliviero Beha è il cronista che scoperchiò il vaso di Pandora del totonero e poi coniò il termine “Moggiopoli” (2006), giornalista che per amor di verità è entrato in contrasto con le redazioni di appartenenza, che ha perso il posto, ma non si è mai arreso: «Quel che resta della nostra Repubblica è retto su un principio di divisione dei poteri. La giustizia sportiva a mio avviso non ha una sua autonomia, non nella sostanza almeno. L'autonomia c'è solo formalmente e l'arbitro punta a fare carriera. I rigori si fischiano al potere, a chi comanda, a chi oggettivamente si trascina dietro la cosiddetta sudditanza arbitrale».

Attenzione però, perché il contesto è molto più ampio di quel che sembra: «Non si tratta di Moggiopoli o calciopoli, ma di Italiopoli, che è poi il titolo del mio libro – attacca Beha –. Se si dovesse denunciare anche solo il 5% di ciò che accade nel calcio, già domani dovrebbe ripartire da zero. Tornando a Moggiopoli, Moggi vinceva troppo in una situazione in cui tutti trattavano la lealtà sportiva come le melanzane alla parmigiana. Cosa ha originato calciopoli? Gli Agnelli temevano di farsi scippare la Juventus da Moggi e Giraudo, la denuncia è partita dall'interno della società bianconera». E ancora: «Oggi il il sistema non è cambiato. Cambiano gli interpreti, ma se si tira il lembo della corda vengono giù tutti. Non se ne parla, però, perché in un Paese che va male non si può togliere alla gente anche il calcio».

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