La Nuova Sardegna

Storie di emigrati nel museo di Asuni

di Antonio Mannu
Storie di emigrati nel museo di Asuni

Una struttura-simbolo in uno dei paesi a rischio di estinzione Sulle pareti immagini in bianco e nero di Gianluca Vassallo

07 maggio 2016
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ASUNI. E' stato inaugurato il Museo dell'Emigrazione di Asuni, un progetto nato anni fa, durante il governo regionale di Renato Soru. Lo ha ricordato Sandro Sarai, all'epoca sindaco di questo piccolo paese di 357 abitanti: «Soru mi disse: il museo lo facciamo ad Asuni, qui ha un senso, non a Cagliari».

Sarai ha quindi spiegato come si sia sviluppata l'idea, partendo dalla volontà di creare un centro di documentazione sull'emigrazione sarda, sfociata poi nell'intenzione di dar vita a un museo: «Un ragazzo di Asuni emigrato a Bologna, Antonio Porcu, sognava un luogo in cui raccogliere documenti e storie, immagini e pubblicazioni che raccontassero la nostra emigrazione. Per questo ha donato la sua casa. Da li è nata l'idea». Per l'inaugurazione le bianche pareti del museo, sono state invase da grandi immagini in bianco e nero, stampate su carta incollata ai muri. Ritratti di donne e uomini di Asuni, con in mano altri ritratti fotografici, chiusi in cornice. Volti di giovani africani, ospiti di uno dei centri di accoglienza nati in Sardegna per dare albergo a chi arriva dal mare, il centro di Sarule. Fuori dal museo alcune foto di mani aperte e vuote. Il perché di queste mani vuote, dei ritratti solinghi, lo ha spiegato Gianluca Vassallo, autore del lavoro esposto. «Una delle facce di Sarule non ha trovato asilo tra gli asunesi». Semplice il senso del dire fotografico di Vassallo: siamo tutti umani: gli asunesi come gli africani, gli africani come gli asunesi. Noi siamo l'altro. Che è vero, ma anche no. Ed è emerso chiaro, involontariamente, nell'affollata sala in cui si è svolta la riunione inaugurale: il gruppo compatto dei migranti africani, per tutta la durata dell'incontro, è stato seduto per terra. Altri in sala non avevano posto a sedere, ma hanno seguito i lavori in piedi. Tra loro anche il sociologo Giovanni Mottura, 81 anni. A lui, dopo un po', è stata offerta una sedia. Mottura, già responsabile del Centro servizi all'emigrazione di Bologna, ha parlato in chiusura: «Non vi do dati perché non mi fido, i dati Istat sulla migrazione italiana non sono credibili, e non mi piace parlare di emigrazione e immigrazione, le persone migrano, un po' come i volatili. Non lo sono perché tanti mantengono qui la residenza. Io sono piemontese, un'antico oppressore che crede molto nella distinzione attuale tra oppressori e oppressi. Possiamo dire che siamo tutti uguali, che abbiamo gli stessi diritti, ma non è vero. C'è chi i diritti li ha. Chi non li ha ma ha strumenti e forza per rivendicarli. Chi ha strumenti e non la forza e infine chi non sa di averli. Queste sono diversità concrete, al di là delle belle parole». Molti gli interventi, tra cui quello di Nello Rubattu, presidente della Onlus Su Disterru. Che ha raccontato che cosa gli disse una signora quando, a 19 anni, cercava casa a Bologna: «Mi spiace, non affittiamo a sardi». Ma siamo tutti uguali. Da morti, come poetava Totò.

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