La Nuova Sardegna

“I ricordi del fiume” I rom in riva allo Stura

di Fabio Canessa
“I ricordi del fiume” I rom in riva allo Stura

Vita di una comunità nel documentario dei fratelli De Serio Oggi a Cagliari con uno dei registi il film premiato a Sassari

11 maggio 2016
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CAGLIARI. Lo scorso dicembre, tre mesi dopo l'anteprima alla Mostra d'arte cinematografia di Venezia, era stato presentato a Sassari alla prima edizione di DocSS, festival del cinema urbano, conquistando il premio come miglior film italiano e una menzione dalla giuria popolare. Riconoscimenti meritati e che hanno portato bene a “I ricordi del fiume”. Il documentario di Gianluca e Massimiliano De Serio è infatti sbarcato adesso anche nelle sale, in una nuova versione di 96 minuti (una quarantina in meno dell'originale) più adatta alla distribuzione dalla quale il cinema documentario, purtroppo, viene spesso ignorato perché etichettato come di difficile fruizione per il pubblico.

Eppure, qualcosa si sta muovendo anche da questo punta di vista. Per fortuna. Perché dietro quel termine ricco di sfumature e che sembra far paura, documentario, si nascondono spesso i migliori film realizzati negli ultimi anni. In questa ideale lista trova spazio “I ricordi del fiume”, nuovo coraggioso progetto dei fratelli De Serio che oggi verrà presentato a Cagliari, alle 19 al Greenwich d'essai, e domani a Carbonia, alle 21 nello spazio Ex–Di. Ci sarà in sala anche uno dei due gemelli torinesi, Gianluca. Classe 1978, i due registi hanno alle spalle già una ricca produzione. Documentari soprattutto, ma anche un apprezzato film di finzione come “Sette opere di misericordia”, con protagonista Roberto Herlitzka, che nel 2011 ha vinto il premio Don Quixote al festival di Locarno. Per quel film erano andati a girare alcune scene anche nel Platz, una grande baraccopoli situata sugli argini del fiume Stura a Torino di cui raccontano con “I ricordi del fiume” il processo di smantellamento. Saputo del progetto di demolizione, i De Serio hanno cominciato a frequentare quel luogo abitato da oltre mille persone. Della comunità rom, ma non solo. Per più di un anno hanno condiviso con loro moltissimi momenti, filmando gli ultimi mesi di esistenza della baraccopoli vicino al centro urbano, ma allo stesso lontano. Perché si tende a far finta che non esistono quei campi. L'occhio della telecamera dei registi torinesi racconta invece com'è uno dei più grandi d'Europa, o meglio diventa strumento per testimoniare com'era.

Il cinema come memoria, che cattura un mondo che sta per svanire. Un atto di resistenza che i De Serio portano avanti con spessore cinematografico, ma anche umano. La macchina da presa è come invisibile, ma la mancanza di interazione delle persone riprese con la camera non significa una distanza tra gli abitanti e i De Serio che si sono immersi, con evidente grande sensibilità, in quella piccola città dimenticata. Anzi l'osservazione si rivela così autentica, restituisce profonda naturalezza al racconto, grazie anche all'utilizzo di lunghi piani sequenza che portano lo spettatore vicino a uomini, donne, bambini e anziani del campo. Tante piccole storie, accennate, come un accumulo di ricordi per fotografare una vita che in fondo non si conosce e rimane spesso confinata nel luogo comune dell'opinione pubblica.

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