La Nuova Sardegna

L’uomo delle pietre sonore

di GIACOMO MAMELI
L’uomo delle pietre sonore

La casa dei genitori contadini, gli studi a Salisburgo, le mostre nel mondo

14 maggio 2016
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di GIACOMO MAMELI

Alle pietre aveva dato non solo voce – facendole vibrare con la corda di un violino – ma ne aveva scoperto le lacrime. Col cannello della fiamma ossidrica fra le mani, nel giardino degli aranci di San Sperate, era riuscito a fondere il basalto. Si era commosso davanti a quel miracolo. «Sono gocce rosso-sangue, bollenti e brillanti, l’anima di questi macigni che hanno costruito la storia del mondo e della Sardegna prima degli Dei», aveva detto Pinuccio Sciola una notte del maggio del 1974 nel suo orto che sarebbe presto diventato Museo con pietre bianche di calcare e scure di ferro. Sciola si è spento ieri mattina a 74 anni in ospedale, a Cagliari, dove era stato ricoverato per un’emorragia cerebrale. Ora sappiamo che, giorno dopo giorno, quelle gocce rosso-sangue le ha usate come semi «per fecondare la terra», trasformate allo stesso tempo «in culle per neonati e ultima dimora per le vittime dei naufragi nel Mar Mediterraneo». Pietre e sculture, «ma sono arte anche quelle pietre, quei sassi che io non sfioro perché l'arte – lo diceva Maria Lai – è nella Natura. Non è un inno alla bellezza questo prato di primule e papaveri?», si era domandato con gli occhi carichi di luce pochi giorni prima del suo ricovero lasciando i grattacieli di granito e quelle «pietre come pecore» davanti alla Basilica di San Francesco ad Assisi e alla Cappella degli Scrovegni a Padova.

Era partito verso l’ospedale dalla casa dov’era orgoglioso di continuare a vivere e dov’era nato «una domenica di pioggia e sole», il 15 marzo 1942 e dove è sempre vissuto circondato dagli strumenti d’uso bucolico, zappe e rastrelli, vanghe e falci, l’antico calesse, covoni d’orzo e spighe di grano alle pareti di casa. Alle elementari «più che scrivere disegna», i maestri apprezzano e sono felici di vederlo vincitore di una borsa di studio per l’Istituto d’arte di Cagliari. La Sardegna gli sta stretta ed eccolo volare all’Accademia di Firenze e all’Accademia di Salisburgo dove entra in contatto col milanese Luciano Minguzzi («era innamorato dei nostri nuraghi»), dell'austriaco Oskar Kokoshka («voleva conoscere tutte le nostre chiese preromaniche, gli era rimasta impressa San Nicola di Ottana»). E poi Giacomo Manzù, Fritz Wotruba, Aligi Sassu. E ancora il fortunato incontro nel 1972 con Henry Moore col quale collabora nella esposizione al Forte Belvedere di Firenze. Sciola è in tandem con Moore, diventa un nome che fa Sardegna. A San Sperate consegna cuore e anima, lo trasforma nel primo Paese-Museo della Sardegna affrescandone strade e piazze. E invoca il decoro urbano «perché i nostri paesi devono essere belli e li dobbiamo salvare».

Dopo l’incontro con Moore c’è uno degli avvenimenti fondamentali del percorso artistico: l’iscrizione all’università di Moncloa a Madrid, il soggiorno a Parigi e soprattutto la frequentazione a Città del Messico con David Alfaro Siqueiros. «La marcia dell'umanità» del grande Siqueiros fa maturare in Sciola la convinzione della «grandezza della storia, dell’epopea sarda. Siqueiros mi ha fatto capire il senso dell’arte, il valore della vita». Valori che Sciola fa emergere alla Biennale di Venezia, alla Besana, in piazza degli Affari a Milano. È richiesto in mezzo mondo. Parla di Sardegna in Europa e in America con le sue opere monumentali nel parco del castello di Oiodonk in Belgio, al Palace Trianon di Versailles, al Barndorf Beio Baden di Vienna, in piazze di New York e Chicago, Londra e Stoccolma, Barcellona. Sciola è firma mondiale. Ed è felice di dire: «Il mio cognome inizia con la esse di Sardegna».

È il 1996. L'artista ha superato il mezzo secolo di vita ed esplode la magia della maturità artistica, la Genesi delle pietre sonore. Nascono in cantieri edili fra l’Alto Oristanese e il Campidano. Si affinano ed esplodono in Gallura, sotto i graniti del Limbara, nel giardino di Tucconi del jazzista Paolo Fresu fra olivastri secolari e querce da sughero dove osa Time in Jazz. Le pietre parlano? Suonano? A loro non aveva dato voce neanche Michelangelo. Sciola sì. E c’è chi invoca il Nobel per un uomo che «ha generato, ha fatto conoscere al mondo la voce delle pietre». L’idea è di Giovanni Lilliu, il padre dell’archeologia sarda, lo scopritore della Reggia nuragica di Barumini. Si era chiesto nella sua casa cagliaritana di via Copernico: «Chi mai l'aveva fatta una scoperta così rivoluzionaria? Pinuccio è un gigante che farà grande la Sardegna. Merita adeguati riconoscimenti».

I successi ci sono. Lo spazio Thetis di Venezia nel 2003, Villa delle Rose a Bologna. Qui crea il salotto di pietra di basalto nel cortile del palazzo comunale. È Sciola ad esaltare Gaudì anche nei giardini di San Sperate ognuno dei quali diventa Sagrada Familia così come avviene all'interno della Basilica di San Saturnino. La proposta di Lilliu lascia il segno: l’11 luglio 2012 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nomina Sciola Commendatore dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana. Lo stesso anno Napolitano inaugura il monumentale tricolore di Sciola al porto di Cagliari.

Le altre tappe dello straordinario percorso di Sciola sono note: nell’aprile 2013 le opere arrivano all’Italian Center di Shanghai. A marzo il premio Medaglia Beato Angelico proprio nell'anno del 450° anniversario della morte di Michelangelo, col quale Sciola ha da sempre un legame fortissimo.

Un mese fa, alla Cineteca di Cagliari, ha presenziato alla proiezione del film di Emilio Bellu “Born of Stone”. Era felice. Aveva parlato come un profeta dei «fondamentali dell'Universo». Ma non ha potuto leggere due libri (Giovanni Floris e Mauro Meli) che lo esaltano nella scultura e nel teatro. Bachisio Floris, autore di “Nuoro Forever”, nella sua tomba nel cimitero di Cortona in Toscana aveva voluto tre pietre-seme regalate da Sciola: «Perché con quelle pietre continuerò a vivere».

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