La Nuova Sardegna

Pinuccio Sciola, artista della pietra e del tempo infinito

Paolo Curreli
Pinuccio Sciola
Pinuccio Sciola

Lo scultore che suonava il basalto con le mani: per Gillo Dorfles come un gesto sacro

14 maggio 2016
3 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Gillo Dorfles, grande vecchio a 106 anni della critica d’arte, aveva definito il gesto di Pinuccio Sciola che trae musica dalle pietre sonore «l'equivalente d'un evento sacro». Per chi ha ascoltato quel momento mistico, per i visitatori del suo Parco delle pietre di San Sperate la definizione è perfetta. Al di fuori della collocazione degli specialisti in una particolare categoria, l’etichetta assegnata di un “ismo” o di un altro dell’arte, la sua più o meno importante valenza sul mercato internazionale, per i visitatori delle sue mostre o per i cittadini che passano davanti alle sue sculture quel messaggio resta puro e potente, diretto al cuore e all’anima senza tante spiegazioni. Pinuccio Sciola ci ha parlato del tempo attraverso le pietre.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:foto:1.13472349:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/foto/2016/05/14/fotogalleria/firenze-le-pietre-sonore-di-sciola-davanti-tomba-di-michelangelo-1.13472349]]

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:foto:1.13466161:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/foto/2016/05/13/fotogalleria/e-morto-pinuccio-sciola-addio-a-un-grande-sardo-1.13466161]]

«Esistono da prima e prima ancora - diceva- da prima della creazione, se è vero che l'universo è stato creato da un suono, come ci dice la Genesi, la pietra che produce la vibrazione viene prima del suono. E il suono contenuto dalle pietre ha attraversato le ere, è conservato all'interno di questa materia che pare ferma e priva di vita, e invece si rivela sonora. Dentro la pietra chiusa e oscura è richiusa anche la luce». Ci ha invitato a guardare all’immanente, a concentrarci su quella vibrazione che arriva dall’universo profondo, ci ha distolto dall’illusione del contemporaneo. Perché il tempo che scorre è un’illusione.

«Se vivessimo milioni di anni potremo vedere la pietra muoversi e danzare – spiegava con un sorriso –. È il nostro tempo limitato che ci fa credere che le pietre siano ferme». Anche nella festa pubblica di dipingere i muri del paese – agli esordi– veniva fuori lo sciamano che organizza il rito collettivo. Perché per Pinuccio: «L’artista è anche cronista e profeta, vive il suo tempo e attinge dal suo mondo. Ma spesso oggi diventa non un generatore di emozioni ma un produttore di oggetti». Questa pesantezza dell’oggetto l’aveva fatta scomparire, levitare, il monumentale ingombrante diventa suono, musica. Ma Sciola non era un santone new age, la sua mistica era profonda e impegnata. La sua ricerca della pace, seminando i suoi semi di pietra è stato un gesto politico e militante, come le sue “bare vuote” scavate nella roccia che avrebbe voluto abbandonare sulle spiagge, pronte per i poveri corpi dei migranti.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:cagliari:cronaca:1.13465872:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/cagliari/cronaca/2016/05/13/news/addio-a-pinuccio-sciola-lo-scultore-e-morto-questo-mattina-1.13465872]]

Pinuccio Sciola è stato un artista profondamente sardo. Come si sa non amava la bandiera dei Quattro mori. «Quelle teste decapitate mi fanno venire i brividi, cambiamola». È stata una delle ultime battaglie pacifiste che in pochi hanno capito. Una Sardegna che non era rappresentata da una bandiera guerresca, non una patria ma una matria, una madre accogliente: «l'uomo, che nasce implume e solo, abbandonato nel mondo, come primo gesto scava con le unghie la pietra per ritornare dentro la madre terra» la pietra era anche un nido per lui.

La Sardegna di Pinuccio la capisce chi è stato all’alba davanti al nuraghe Losa, ha visto il tramonto alla reggia nuragica rossa di Orroli, ha avuto la pazienza di ascoltare il silenzio, il grande tesoro di questa isola, la musica delle foglie di ulivo millenario percorse dal vento, la coreografia meticolosa dei licheni, la land art dei muretti a secco.

Questa isola che il luogo comune vuole “senza tempo” la si capisce attraverso il suo lavoro. Non c’è folclore alla disneyland, colore inutile, decorazione di copertura, esiste l’essenziale del tempo e della pietra. Il suo omaggio a Gaudì, realizzato con vecchi tubi Innocenti, visto in controluce si staglia bellissimo, nella sua estetica decò, guardando da vicino le zappe, vanghe arrugginite, vomeri ritorti, di cui sono composti gli elementi, ritorna il tempo che adesso è quello umano del lavoro.

La ruggine ci racconta la vita, le vite degli uomini consumate dal lavoro, immaginiamo il sudore e il dolore. Se torniamo indietro e riguardiamo l’insieme capiamo che è una preghiera che noi poveri umani innalziamo al cielo. Una preghiera di sofferenza e bellezza che è in ogni piccola cosa accarezzata dal tempo.

In Primo Piano
Tribunale

Sassari, morti di covid a Casa Serena: due rinvii a giudizio

di Nadia Cossu
Le nostre iniziative