La Nuova Sardegna

«Ciao Pinuccio»: l’isola saluta il maestro

di Giacomo Mameli
«Ciao Pinuccio»: l’isola saluta il maestro

Oggi i funerali a San Giovanni, nella piazza opera d’arte

15 maggio 2016
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SAN SPERATE. Pinuccio Sciola ha trovato in ordine la chiesetta gotica di Santa Lucia dove da ieri alle 15.32 è stata allestita la camera ardente dopo una giornata passata all’ospedale Brotzu di Cagliari. Fabrizio Fiori e Gigi Marotto lavorano di rastrello per rimuovere le erbacce, Angela e Raffaela ricoprono il cortile-pronao del tempietto con foglie di menta, rametti di corbezzolo e citronella. Sul portone chiuso della casa di Pinuccio, in via Marongiu 21, ci sono due garofani, uno bianco e uno rosso. L’aria profuma di campagna primaverile, sembra di essere nel parco-museo di via Oriana Fallaci dove osava il patriarca delle pietre.

Commozione e intimità: il battacchio del campanile a vela non è stato sciolto, applausi, «ciao Pinuccio», padre Raffaele dei Redentoristi benedice la bara di noce chiaro, le lacrime della figlia Maria, il figlio Tommaso accarezza la targhetta d’ottone che certifica che uno dei grandi della Sardegna del Novecento se n’è andato a 74 anni per un cervello che ha smesso di essere geniale. Camera ardente che si è subito affollata. È stata scelta perché qui Pinuccio respirava religiosità ma anche perché costruita sopra un pozzo nuragico, un vetro sul pavimento ne mostra la sagoma, una lampadina ne esalta i cocci a mattoncino. Quando Sciola ci portava amici e turisti diceva: «È quattro volte sacra questa cappella: perché nel Cinquecento era stata eretta su un modello gotico, perché ci sono le stazioni della via Crucis di Raffaele Muscas, perché è sorta su un nuraghe con le pietre che parlano di Sardegna, perché c’è un altare barocco progettato da Pietro Fossati, l’autore della facciata del Duomo di Cagliari». E qui aveva fatto tenere concerti con musiche irlandesi e con la sonate di Bach, le launeddas di Luigi Lai, era atteso per una serata il jazz di Paolo Fresu.

Il paese-museo, affrescato con le pesche a polpa bianca e rosa, abbellito con pietre-dolmen puntate verso il cielo, è vestito di bianco. Migliaia di lenzuola – anche negli orti, nei giardini con le arance – a ricoprire balconi e siepi, la scritta «Ciao, grazie Pinuccio» campeggia in ogni casa, nei supermercati, nei bar, nei portoni incorniciati da colonne di mattoni di paglia che caratterizzano ancora molte abitazioni di questo villaggio bucolico campidanese. Una scelta voluta dagli amici di Sciola, dalla Pro Loco al gruppo Antas, ArteEventi e NoArte, Fentanas, l’amministrazione comunale con l'assessore Emanuela Pilloni. È un paese che piange il suo figlio più illustre, uno dei figli più illustri della Sardegna, una delle intelligenze non sempre apprezzate nel paese e nella regione dov’era nato.

Il parco delle pietre ieri mattina era deserto. Tra le opere monumentali di Sciola, sparse per ettari, fascine di legnetti per preparare i falò della notte, cumuli di cenere, qua e là olivastri, mini-olivi nascenti dai semi di pietra, filari di ficodindia, canne al vento. C’è un concerto di merli e passeri, cinciallegre e ballerine bianche. Manca solo il regista, il creatore di un incanto che nelle notti d’estate e d’autunno trasformava questo pianoro in un angolo di paradiso rischiarato dalle fiamme potenti dei falò. Tra i basalti e i graniti, Pinuccio – scalzo e a mani nude – giocava col fuoco, creava scene degne dei “Dieci comandamenti” di Cecil B. De Mille o della “Bibbia” di John Huston con i ventidue capitoli della Genesi. E usava toni biblici «perché in principio fu la pietra, dopo la pietra erano sorte le vallate e le montagne, i fiumi e i vulcani, Noè è venuto dopo le pietre, e anche Abramo e Priamo. Sono le pietre il sale della terra. La chiesa viene edificata sulla pietra perché – vi ripeto – in principio fu la pietra». Aveva lo sguardo del profeta, era Isaia ed Ezechiele o – Sciola lo citava spesso – San Giovanni dell’Apocalisse. Mitico e mistico. E quando aveva dato voce al basalto trovato nell’altipiano del Nuraghe Orrubiu di Orroli si era sentito un innovatore: «Ci rendiamo conto che nessuno aveva dato voce a questi macigni? Neanche Michelangelo aveva fatto parlare il suo marmo, neanche prendendolo a martellate. Io ci sono riuscito. Il merito è uno solo: perché sono un figlio della pietra, sono nato dalla pietra».

Eccole le sue pietre intagliate, piccole e grandi, basse e alte, pronte a volare a Dubai e a Chicago, a Londra e a Monaco, all’ingresso dei nostri paesi, in piazza san Marco a Venezia, nella chiesa della poderosa fortezza Albornoz di Urbino davanti agli studenti dell’Accademia di belle arti giunti dalla Cina e dall’Australia per sentire la lectio magistralis, il concerto di pietre a duecento metri dalla casa natale di Raffaello sotto le volte di un tempi del Seiecento. Dalla basilica di San Francesco ad Assisi alla chiesetta di Santa Lucia di San Sperate. Una teoria incessante di visitatori, ci sono docenti universitari tedeschi, camminano per le strade che Pinuccio aveva voluto colorare per dare «vita e luce ai nostri paesi».

Oggi alle 15.30 il funerale a San Giovanni, nella piazza che Sciola, col suo estro, aveva fatto diventare piazza d’arte.

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