La Nuova Sardegna

«Nel museo invito tutti a essere curiosi del domani che verrà»

di Paolo Curreli
«Nel museo invito tutti a essere curiosi del domani che verrà»

La Barbagia bella e isolata e la storia degli artisti sardi Come la provincia è diventata centro di idee internazionali

09 giugno 2016
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NUORO. Erano poco più di diecimila i visitatori del ’99, primo anno di vita del Man: è già era una conquista per il museo della Provincia di Nuoro. Un decollo dovuto anche alla visione coraggiosa e informata di Cristiana Collu (ora alla guida della Galleria d’Arte Moderna di Roma). Sembrava che la Barbagia dei grandi scrittori e delle tradizioni arcaiche avesse poco a che fare con l’arte visiva contemporanea e invece anche gli ultimi tre anni – con la direzione di Lorenzo Giusti – hanno rappresentato un balzo in avanti di visitatori e la conferma dell’importanza del Man anche nel circuito internazionale. Mostre blockbuster (una tra tutte quella su Vivian Maier) e la riscoperta – per merito della grande retrospettiva “La costante resistenziale”– che invece proprio a Nuoro arrivò l’arte moderna in Sardegna con il premio a Mauro Manca, nella Biennale del ’57, per il primo quadro astratto isolano: “L’ombra del mare sulla collina”. Il museo in questi giorni ha pubblicato il Report di questi tre anni di direzione del pratese (non ancora quarantenne) Lorenzo Giusti.

Quanto è difficile proporre l’arte contemporanea, o non ci si meraviglia più della mancanza del quadro alla parete?

«Tutta l’arte è stata contemporanea. Quello che oggi è accettato, ieri non lo era e quello che oggi facciamo fatica ad accettare domani potrebbe essere considerato importante. Pensiamo a un pilastro come Klee, a cui abbiamo da poco dedicato una mostra. Oggi nessuno mette in discussione il suo lavoro – e infatti tante persone sono venute al museo per vedere le sue opere – ma per molto tempo è stato considerato un negletto, un mezzo squilibrato. Quello che a me preme di più è rendere il pubblico consapevole di questa dinamica, spingerlo a essere curioso rispetto al domani. Certe cose del contemporaneo sono strane e probabilmente ce le dimenticheremo, ma altre, che ci appaiono strane ugualmente, saranno le future Ninfee di Monet. Come si fa a non essere stimolati da questa prospettiva?».

Cosa incuriosisce di più il pubblico?

«Il pubblico accorre soprattutto in occasione degli eventi, com’è stato lo scorso anno per Vivian Maier, che era una novità, qualcosa di inedito qui da noi, ma anche qualcosa di conosciuto allo stesso tempo, perché se ne era comunque molto scritto e parlato. Ma c’è anche un pubblico più attento, che frequenta il museo regolarmente e che apprezza le proposte meno eclatanti e più sottili. L’elemento di novità è comunque fondamentale. Che sia un focus su un maestro dell’avanguardia, come per Arp, Giacometti o Klee, di cui abbiamo raccontato aspetti poco indagati, o sia la mostra di un artista contemporaneo, come quella di Roman Signer in corso, prima in un museo italiano. Non perché la novità sia un valore in sé, ma perché cambiare punto di vista sulle cose, soprattutto su quelle che pensiamo di conoscere bene, è l’unico modo per procedere. Altrimenti il lavoro del museo diventa sterile e il pubblico alla lunga se ne accorge».

Come vive la percezione della in provincia, si è isolati dalle novità che accadono sempre in un “altrove” più importante?

«In questi anni più volte mi è stata posta questa domanda. Nel tempo ho un po’ cambiato il modo di rispondere. All’inizio ne facevo una questione ideale, di principio e di volontà: fai del posto in cui sei il centro del tuo mondo; lavora a Nuoro ma pensati a New York, a Basilea o a Pechino. In realtà non basta pensarsi al centro per esserlo davvero e, di fatto, occorre sempre stare con gli occhi aperti, le orecchie dritte e possibilmente la valigia pronta. E’ importante fare esperienza di altri contesti, per capire il proprio e saperlo raccontare». L’esperienza del Wildness, il rapporto con la natura. La Barbagia è un luogo ancora privilegiato?

«Ogni luogo ha i propri spazi di sedimentazione, dentro cui perdersi. Certo la meraviglia del paesaggio barbaricino, il senso di pienezza che le montagne riescono a donare sono esperienza uniche che auguro a tutti di vivere. Per noi sono stati elementi di lavoro e di riflessione, e tanti progetti espositivi – su tutti quello di Hamish Fulton e Michael Hoepfner – sono partiti da un’imprescindibile esperienza di questi luoghi».

Storicizzare l’arte in Sardegna, la scoperta e la conferma di personalità importanti...

«E’ l’obiettivo che ci siamo prefissati con “La costante resistenziale”, un progetto iniziato due anni fa, che vorremmo concludere nel 2017 con una pubblicazione a cui stanno lavorando diversi studiosi. L’espressione di Lilliu, riferita alla resistenza del popolo sardo, è diventata per noi un criterio aperto attraverso cui osservare lo sviluppo dei linguaggi dell’arte alla luce degli influssi esterni. Vorremmo riuscire a consegnare uno strumento effettivamente utile per una lettura critica del recente passato, un’interpretazione possibile del presente, e magari per aprire uno scorcio di visione sul prossimo futuro».

Maria Lai, Pinuccio Sciola se ne sono andati si chiude un momento storico, da cosa viene sostituito?

«Ha ragione, Maria e Pinuccio hanno vissuto in un’altra epoca. Certo, hanno messo un piede anche in questa, ma il loro lavoro è nato e cresciuto perlopiù in un tempo segnato da ritmi e regole diverse. Un tempo in cui ancora si poteva appartenere a un luogo. E se non a un luogo soltanto, quantomeno a un luogo in particolare. Oggi è diverso. Viaggiare, conoscere, frequentare artisti di varie parti del mondo, discutere, confrontarsi, sono condizioni imprescindibili, necessarie. Se non si può viaggiare, l’alternativa è radicalizzare la propria distanza, la propria lateralità, portandola all’estremo. Concentrare la propria energia in un punto, un punto preciso. Da un atomo può scatenarsi un’energia enorme. La mia ancora molto modesta esperienza mi insegna che, in arte, funzionano o l’una o l’altra strada, la via di mezzo non porta molto lontano».

Il Man segue il sistema dell’arte contemporanea o traccia dei percorsi indipendenti. La sua opinione sul Cattelan da 18milioni?

«Nel mercato dell’arte contemporanea le aste rappresentano un momento speculativo che poco ha a che fare con l’economia reale. Sono passaggi azzardati, che possono creare scompensi. Altra cosa è il mercato delle gallerie, che corre parallelo alla crescita degli artisti e per questo è molto più autentico. I musei contribuiscono a questa crescita, fornendo occasioni di visibilità e di consolidamento. Al Man abbiamo sempre cercato di lavorare con la consapevolezza di fare parte di un sistema più grande del nostro giardino, permettendoci però, anche piuttosto spesso, la libertà di avanzare delle proposte corsare, fuori dalle strette logiche di sistema. Detto questo, ho sempre apprezzato il lavoro di Maurizio Cattelan. Certo non può piacere a chi nell’arte cerca un appagamento visivo. Le corde che tocca sono altre, e spesso sono nervi scoperti».

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