La Nuova Sardegna

«Il regalo di Renzo Piano per l’amico Faber»

di Giampiero Cocco
Dori Ghezzi
Dori Ghezzi

A Tempio l’inaugurazione della piazza intitolata a Fabrizio De Andrè: intervista con Dori Ghezzi

20 luglio 2016
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TEMPIO. Il caschetto di capelli biondi di quando cantava Casatschok, al Cantagiro del 1969, è rimasto uguale. Dori Ghezzi, vedova De André, non perse un attimo di tempo quando un gruppo di amici le propose, diversi anni fa, di coinvolgere l’archistar genovese Renzo Piano ad ideare un qualcosa che ricordasse lo spirito di Faber, il suo amato Fabrizio.

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Come nacque il progetto di dedicare una piazza di Tempio al cantautore genovese, ma sardo per precisa e dichiarata scelta, con il quale lei ha condiviso momenti di gioia, serenità ma anche di profondo dolore?

«Semplicemente applicando l’entusiasmo e il rigore con il quale Faber lo avrebbe portato avanti, com’era sua abitudine. Ho fatto mia, coinvolgendo nel progetto Renzo Piano, la proposta che arrivava dagli amici sardi, da coloro che hanno apprezzato la vera essenza di Fabrizio, il suo innato spirito libero, la sua immensa voglia di vivere. Un qualcosa che si è concretizzato grazie all’adesione, questo va giustamente sottolineato, di tantissimi professionisti che hanno prestato la loro opera gratuitamente, in memoria di Fabrizio».

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Perché, tra le tante regioni italiane avete scelto, nel 1975, l’isola per costruire insieme il vostro futuro?

Fabrizio viveva tra Genova e la Gallura, una terra che adorava e dalla quale era fortemente attratto. Una scelta, la sua che fu ben presto anche la mia. Allora l’unico mezzo di trasporto era il taxi di un autista tempiese, Mureddu, il quale fece vedere a Fabrizio un fondo valle, Baldu (a ovest del Monte Limbara, n.d.r.) e qui scegliemmo tre grandi appezzamenti: Donna Maria, immersa tra boschi e graniti, la vallata di Baldu e l’Agnata, dove c’erano i ruderi di un vecchio palazzo signorile. Furono anni da pionieri, con Fabrizio che si dedicò, com’era sua abitudine, anima e corpo alla nuova professione, l’allevatore di mucche e vitelli. Ma anche di contadino a tutto tondo, dedicandosi e approfondendo studi che, da buon filosofo, portò avanti sulle piante e gli animali, diventando un esperto di flora e di fauna. Un contadino che non dimenticava il suo naturale talento, la musica, che gli scivolava dentro, captando i suoni ancestrali di un’isola che lo aveva, coinvolgendomi, stregato. Presero corpo nuove melodie, alle quali collaborò anche un musicista di talento qual’è Massimo Bubola».

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Quella di Fabrizio e Dori non era una vita bucolica, ma di lavoro e impegno sociale. E di decisioni sempre condivise, come quella del novembre 1977, al momento di dare alla luce Luvi (da Luisa e Vittoria, il nome delle madri dei due cantanti) la bimba concepita nell’isola. Dori Ghezzi, che per evitare il gossip sul suo rapporto non ancora ufficiale con Fabrizio – il quale era in attesa del divorzio dalla prima moglie, Enrica “Puny” Rignon, la madre di Cristiano – si era trasferita in Canada, decise di rientrare a Tempio e far nascere la bambina in Gallura. Gioia immensa per la coppia, che subì l’onta del sequestro di persona nel periodo più buio di questo odioso crimine contro la persona, il 1979.

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«Abbiamo, per scelta comune – ricorda Dori Ghezzi –, deciso di restare in Sardegna, proseguendo a vivere come se nulla fosse accaduto. Io ho continuato a viaggiare, sola e di notte, tra L’Agnata, Tempio e l’aeroporto di Olbia, così come la nostra casa non era mai sprangata, per nessuno. Il naturale perdono ai nostri sequestratori è stato propedeutico per debellare questa piaga che mortificava la Sardegna». Nacque un Lp memorabile, “L’indiano”, che conteneva brani struggenti quali Hotel Supramonte e altre liriche dedicate al momenti della loro lunga prigionia. Nel febbraio del 1989 Dori e Fabrizio, da anni ormai residenti a Tempio, in località l’Agnata, decisero di sposarsi, civilmente, nel comune gallurese. Una festa tra pochi amici e i testimoni di nozze: Beppe Grillo e una amica di’infanzia di Dori.

Perché, nonostante tutto, avete deciso di restare a vivere nell’isola, e tu, anche dopo la scomparsa di Fabrizio, continui a frequentarla?

Per mantenere vivo il ricordo di Faber, che si rinnova ogni qualvolta rivedo gli amici comuni, quelli con i quali, come te, abbiamo vissuto e diviso i momenti di grande felicità e di immenso dolore».

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