La Nuova Sardegna

La violenza dell’Isis nel film di Ali Al-Jabri

La violenza dell’Isis nel film di Ali Al-Jabri

“Life after oil”, oggi a Stintino anteprima nazionale di “Jwan”

06 agosto 2016
3 MINUTI DI LETTURA





STINTINO. Per combattere il Califfato ogni giorno c’è gente che paga un prezzo in Medio Oriente, che accetta i rischi di contrapporsi ad esso ideologicamente. Tra questi c’è Ali Al-Jabri, il regista iracheno di “Jwan”, il film contro il Daesh che ha fatto scalpore a Cannes e a Los Angeles, e che ora vive minacciato. E che non potrà quindi venire in Italia, a Stintino, in occasione del festival “Life after oil” dove la sua opera verrà proiettata stasera in anteprima nazionale. Al-Jabri, che ha 38 anni, vive a Bassora, ed è stato colpito da un grave lutto: la morte di un fratello, al fronte, contro i miliziani del sedicente Stato islamico. «Sono orgoglioso che mio fratello sia morto combattendoli - ha detto all’Ansa - Sono orgoglioso che sia morto difendendo la sua terra contro il nemico dell’umanità e dei popoli».

Il fratello minore combatteva sul fronte occidentale dell’Iraq, nella città di Ramadi. «Sapevo che (dopo il film) sarebbe stata dura per me - ha aggiunto - Ma ho deciso di usare contro questi assassini le stesse armi mediatiche che usano loro per fare proselitismo». Anche il cinema, infatti, per Al-Jabri, può efficacemente colpire il Califfato. Anzi, può fargli molto male, dato che la sua fama è stata montata ad arte anche con tecniche cinematografiche. «Noi in Iraq - ha spiegato - viviamo nella costante minaccia di Daesh e l’uccisione di cittadini inermi con vili attentati e autobombe, io personalmente sono scampato alla morte più di una volta. Per fortuna la mia voce è arrivata a Cannes. Questo per me è stato motivo di orgoglio e soddisfazione nonostante tutte le minacce che ho ricevuto. Questo film è una sorta di risposta alla falsa macchina mediatica organizzata da Daesh. Ho utilizzato la loro stessa arma, che è la tecnica cinematografica, per fare vedere la loro brutalità e malvagità».

Che cosa l'ha spinta a produrre un film sul Daesh?

«Quello che mi ha spinto a produrre il mio film è la sua capacità di distorcere la verità sulla religione islamica che condanna e rifiuta categoricamente queste pratiche. Soprattutto volevo denunciare quello che ha commesso e commette questa organizzazione tra rapimenti, abusi sulle donne, oltraggi alla dignità umana e la tratta di ragazze nei mercati».

Qual è il significato del tema dell'incesto?

«I miliziani calunniano chi rifiuta di seguire la loro deviata dottrina attraverso dure accuse come l'apostasia, il mancato digiuno durante il mese di Ramadan, il non pregare e praticare l'incesto che è appunto la peggiore onta all'onore e alla reputazione di colui che viene accusato ingiustamente».

Come mai ha portato la sua opera al festival Life After oil? «La vita in tutto il mondo è cambiata dopo la scoperta del petrolio, anche in conseguenza delle guerre di occupazione per il controllo dell'oro nero e delle sue fonti. Ho trovato nel nome di questo festival un riassunto di un grande problema che abbiamo in età contemporanea ossia di come sia diventata la vita dei popoli dopo la scoperta del petrolio. Uno dei principali motivi per la nascita di Daesh e ancora prima di AlQaeda è il petrolio e tutti gli equilibri economici che ne derivano tra i paesi. Il mio Paese è uno dei più importanti stati produttori e questo lo ha portato ad essere attaccato per occuparne i pozzi più importanti e finanziare i loro atti terroristici». (fabrizio cassinelli)

In Primo Piano

Calcio Serie A

Cagliari avanti 2-0 contro la Juventus alla fine del primo tempo

Le nostre iniziative