La Nuova Sardegna

English Centre, trent’anni all’avanguardia

di Roberto Sanna
English Centre, trent’anni all’avanguardia

Ha insegnato l’inglese a 17mila sassaresi Da scuola d’élite a porta per l’Europa

22 ottobre 2016
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SASSARI. Correva l’anno 1986, il sindaco era il democristiano Raimondo Rizzu, la Dinamo giocava in Serie B, Gianfranco Zola faceva panchina alla Torres, andava ancora di moda lo “struscio” serale in piazza d’Italia e, tra le altre cose che caratterizzavano una cittadina di provincia come tante, studiare l’inglese era per pochi. Un po’ perché c’era una sola scuola privata e per sostenere gli esami ufficiali bisognava andare fino alla Maddalena, un po’ perché non ce n’era effettivamente bisogno: cose come il web, l’Erasmus, gli smartphone, la tv satellitare, i voli low-cost nemmeno si potevano immaginare. L’English Centre, scuola privata che rilascia le certificazioni Cambridge, è nato in quel contesto e quasi senza accorgersene è stato protagonista di una rivoluzione socio-culturale: in trent’anni qualcosa come diciasettemila sassaresi, in pratica tre generazioni, hanno imparato (almeno) i rudimenti di una lingua che ormai fa parte della nostra quotidianità.

Lo dimostra la stessa evoluzione di una scuola che ha festeggiato la ricorrenza riscoprendosi molto diversa da come aveva iniziato: «L’English Centre è nato su iniziativa di Paola Di Renzo, un’insegnante di lingue che aveva portato con sè tutto il suo seguito di conoscenze e contatti - racconta il direttore Paul Rogerson -. All’inizio la sede era in un piccolo appartamento in via dei Mille, adesso i locali sono diventati quattro. Complessivamente, siamo cinque volte più grandi di come eravamo all’origine». Paul Rogerson, londinese, laureato in Storia e Filosofia a Cambridge, è arrivato a Sassari nel 1989 per il dottorato ed è ancora qui. Da insegnante è diventato il direttore didattico dell’English Centre e qualche anno fa lo ha rilevato, insegna ancora ma il corso degli eventi lo ha portato a diventare un vero e proprio manager di un istituto che più che insegnare una lingua, ha come compito preparare i ragazzi all’Europa.

Che cosa voleva dire, negli anni Ottanta, insegnare l’inglese in una città di provincia come Sassari?

«Per rispondere vi racconto com’era la nostra scuola: all’inizio avevamo circa duecento iscritti e l’English Centre era un punto di ritrovo dell’”upper class” sassarese: i cognomi erano quelli delle famiglie più importanti e le lezioni più gettonate quelle delle otto di sera. Tanto che quando abbiamo cominciato coi corsi all’ora di pranzo, più di uno ha storto il naso. Adesso i corsi all’ora di pranzo sono i più richiesti e abbiamo mille studenti, dai cinque anni fino ai pensionati».

Che cosa è cambiato nell’approccio allo studio dell’inglese?

«C’è molta più consapevolezza e, dato che l’inglese è ormai diffusissimo e non siamo l’unica scuola in città, anche da parte nostra c’è una maggiore ai servizi che offriamo. Per intenderci, all’inizio ci chiedevano soltanto due cose: il prezzo dei corsi e se gli insegnanti fossero di madrelingua. Adesso chi si rivolge a noi pone tutta una serie di quesiti ed è molto più consapevole di quello che vuole e di che cosa sta andando a fare».

L’età degli studenti?

«Siamo passati dall’avere per due terzi adulti e un terzo minorenni all’esatto opposto, tanto che in settembre abbiamo attivato i corsi per i bimbi di cinque anni. Negli ultimi anni abbiamo notato che le famiglie, per via della crisi, sono disposte a investire sotto questo aspetto per i propri figli, preferiscono fare dei sacrifici per dare loro un’opportunità in più. I genitori sono molto più propensi a spendere in questa direzione, chi studia l’inglese lo fa per prepararsi a un’esperienza all’estero o addirittura pensando di andare via definitivamente dall’Italia. Chi viene da noi, insomma, lo fa per acquisire nuovi strumenti».

È vero che un tempo la conoscenza della lingua inglese era un qualcosa in più che poteva fare la differenza, adesso invece se non la sai padroneggiare hai qualcosa in meno?

«Non conoscere l’inglese è un’opportunità mancata. Questa lingua non è una proprietà intellettuale della Gran Bretagna ma è molto, molto di più. E infatti anche le scuole si sono trasformate ed evolute. Prima alla reception trovavate sempre la bandiera della Gran Bretagna e altri arredi a tema, adesso non si usano più. Anche noi ci siamo trasformati e siamo una realtà totalmente diversa, anche se resto molto affezionato a Paola. Ormai siamo strutturati come un’azienda, ci sono trenta persone impiegate in ruoli differenti. All’inizio in segreteria bastava una sola persona e avevamo cinque insegnanti, adesso quasi la metà di quelle trenta persone appartiene allo staff e non al corpo insegnante».

Anche il modo di insegnare l’inglese è cambiato.

«Assolutamente. Anche perché la scuola non è più l’unica fonte disponibile, tra internet e canali satellitari c’è solo da scegliere. E devo anche dire che la scuola pubblica è migliorata sotto questo aspetto. In generale i ragazzi hanno meno pazienza, sono abituati, grazie ai nuovi supporti, avere risposte in tempi brevi. Ci siamo dovuti adeguare anche noi con pc e tablet, le lezioni nelle quali usavamo i dizionari monolingua per insegnare le parole ormai fanno parte del passato. Detto questo, i ragazzi sassaresi sono integrati con l’Europa, vogliono essere europei».

Ma l’Italia per quanto riguarda lo studio della lingua inglese è ancora oggi una delle nazioni più indietro?

«Diciamo che non è più come prima, il livello è sicuramente più alto grazie anche ai miglioramenti della scuola pubblica. Resta il fatto che le nazioni europee col maggior numero di scuole di lingua sono sempre quelle che si affacciano sul Mediterraneo, parlo di Italia, Grecia e Spagna. E questo è un dato che denuncia comunque un certo deficit».

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