La Nuova Sardegna

Così il lavoro può liberare la vita. La ricerca di Lucia Bertell in Sardegna e in Veneto

di Alessandra Pigliaru
Così il lavoro può liberare la vita. La ricerca di Lucia Bertell in Sardegna e in Veneto

Il rapporto tra l’economia e la vita delle persone non è semplice; spesso è segnato da una profonda scollatura, più evidente quando si cerca di spiegare la trasformazione che il lavoro ha subito in...

10 novembre 2016
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Il rapporto tra l’economia e la vita delle persone non è semplice; spesso è segnato da una profonda scollatura, più evidente quando si cerca di spiegare la trasformazione che il lavoro ha subito in questi ultimi anni, soprattutto a seguito di lente e inesorabili politiche che ne hanno eroso la struttura. Così, nella precarietà che ci assedia, incontrare donne e uomini che hanno fatto del proprio lavoro un modo di vivere lascia stupiti e a tratti ammirati. Partendo da questi temi, Lucia Bertell, ricercatrice e cooperatrice che vive e lavora a Verona e che da molti anni è impegnata nella progettazione partecipata e nella ricerca sociale sul lavoro, si è interrogata su un particolare aspetto del presente in un volume dal titolo eloquente: “Lavoro ecoautonomo. Dalla sostenibilità del lavoro alla praticabilità della vita” (elèuthera, 191 pagine, 15 euro) in cui segue, per poi oltrepassarlo, il percorso delle «economie diverse».

Pratiche della quotidianità. Il passaggio dalla più nota «economia solidale» o «altra economia» a quella invece «diversa», è per Bertell essenziale perché racconta di una pluralità di lavori, di pratiche della quotidianità e di posture presenti in reti, gruppi di consumo critico, movimenti e scenari esistenti e operanti a vario titolo nei territori, compreso quello sardo al centro di uno splendido capitolo attraverso cui l’autrice restituisce la sua esperienza di ricerca e di relazione lungo un intero anno trascorso proprio sull’isola. Insieme al Veneto, la Sardegna è infatti al centro di quella che Bertell chiama una «transizione» già avvenuta che ha consentito, e consente ancora, di sottrarsi al sostegno di un sistema economico dominante per rimettere al centro una praticabilità che è quella della stessa esistenza. L’impegno nell’individuare questo passaggio, descrivendo non la flessibilità usurata del lavoro bensì la nervatura di esperienze – in particolare sarde – raccontano un’autodeterminazione, una costanza e una pazienza senza pari.

Andare in TiLT. In questa direzione si legge anche l’attività dell’autrice all'interno di TiLT - Territori in Libera Transizione – gruppo interuniversitario sulle nuove pratiche di cittadinanza, di cui viene dato conto nel libro da lei scritto con Antonia De Vita, Marco Deriu e Giorgio Gosetti, Davide e Golia, “La primavera delle economie diverse” (Jaca Book, 2013). Capaci di creazione sociale, queste economie diverse non sono forme di emarginazione etica né la rappresentazione tout court del terzo settore. «La confusione/adesione tra terzo settore ed economie diverse va tenuta a bada – segnalava già Bertell tre anni fa – mettendo ordine non tanto nelle differenti forme giuridiche, che oramai poco parlano delle stesse imprese e realtà associative, ma piuttosto facendo luce sulle motivazioni, sul rapporto con il sistema economico dominante, sul posto che si dà al denaro o all’ambiente, o a quello che occupano le relazioni, la giustizia e l'equità». Parlare oggi di «lavoro ecoautonomo» mostra un ulteriore scatto in avanti: se le questioni economiche si legano a «ragioni astratte», c’è un più concreto piano del quotidiano – singolare e comune – che va sondato. Insomma, l’economia è sorda ma la vita ci sente benissimo.

Nuove narrazioni. Sotto il profilo teorico, la rilettura di bisogni, crescita industriale e convivialità, poggiano sugli studi condotti da Ivan Illich offrendo nuove narrazioni sul lavoro, le relazioni e il modo in cui si intende la creazione comune; si potrebbe proseguire con i contributi del Movimento anti-utilitarista degli anni Ottanta promosso da Alain Caillé e dal Manifesto convivialista, redatto nel 2013 da Serge Latouche, Edgar Morin, Chantal Mouffe e altri. Il passo avviato da Lucia Bertell è però ancora ulteriore e trova radici tra il Veneto e la Sardegna come laboratori di pratiche politiche che si sorreggono attraverso l’ambientalismo e il partire da sé.

Prima la libertà. La frequentazione della ricercatrice con l’isola inizia già nel 2010, anno in cui vengono avviati due progetti di ricerca con Antonia De Vita, Giorgio Gosetti e Federica de Cordova. «Ma ancor prima con Cristina Cometti che si è trasferita in Sardegna – precisa Bertell – per un cambio di stile di vita e di lavoro. Quello di cui le donne e gli uomini intervistati mi parlavano non aveva più a che fare con un mondo alternativo caratterizzato da buoni valori solidali, ambientalisti, mutualisti. Questi valori, pur presenti nella cultura e nei percorsi personali, sono rimasti come sfocati mentre a tinte forti emergevano i tratti dell’autodeterminazione e della libertà».

Grounded Theory. Abbandonate le impostazioni tradizionali, secondo cui è la gabbia teorica che deve poi trovare dei riscontri nei risultati, Bertell preferisce avvicinarsi alla Grounded Theory che si fonda su una modalità induttiva dell’indagine fino a considerare i soggetti coinvolti nelle interviste come collaboratori attivi della ricerca. L’esito è nelle analisi qualitative dei dati attraverso il software Nvivo 10, appreso durante il soggiorno dell’autrice all’università di Cork in Irlanda per studiare il movimento delle Transition Town, ma soprattutto nelle storie (una trentina tra Veneto e Sardegna) di lavoratrici e lavoratori che si possono definire ecoautonomi.

Vivere semplicemente. Come Emanuela Atzori, coltivatrice di zafferano a Is Ajos, una frazione di Nuxis, e che fa parte della rete del Centro sperimentazione autosviluppo “Domus amigas”. O come il sogno della “Ciclofficina” di Michele Pigozzi, membro del Gruppo di acquisto sociale “Gigi Piccoli”, oggi connesso alla rete di “Genuino clandestino”. I protagonisti e le protagoniste della ricerca sono numerosi e significativi: da Luciano Farina e Rosalba Mereu, che fanno agricoltura biologica sociale nel Nuorese, al Gruppo di acquisto solidale “Pira camusina”. Dall’esperienza dell’agronoma Maria Luisa Ledda, dell’orticoltore Mauro Cassini, della rete di Biosardinia e della Scuola di filosomatica. Al centro di questi percorsi di smarcatura ci sono alcuni elementi: il «vivere semplicemente», il «reddito decentrato», le «relazioni di utilità» e un concetto di «remuneratività» che coinvolge non solo uno scambio economico ma una cura più ampia per la terra e i viventi che la abitano.

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