La Nuova Sardegna

«Libertà, un’illusione Siamo tutti schiavi di tecnica e banche»

di Giacomo Mameli
«Libertà, un’illusione Siamo tutti schiavi di tecnica e banche»

Il filosofo martedì a Cagliari per l’apertura del festival “LEI” Incontro dibattito sulla perdita di autonomia della politica

27 novembre 2016
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CAGLIARI. Umberto Galimberti, tra i filosofi-antropologi più noti in Italia, scatta come una molla se per un solo istante si accenna al turpiloquio di Palazzo e gli si chiede di analizzare – in questi sguaiati giorni pre referendum – il linguaggio della politica. «Siamo semplicemente davanti alla volgarità punto e basta, abbiamo di fronte chi non sa usare il lume della ragione e dà sfogo al peggio del maldipancia». Galimberti è atteso a Cagliari al festival “LEI” (Lettura, Emozione, Intelligenza”) martedì 29, Alle 19 nell’auditorium di Piazzetta Dettori affronterà il tema “L’illusione della libertà nell’età della tecnica”. Il professore vola per qualche attimo negli Stati Uniti e osserva che, anche al di là dell’Atlantico detta legge la pancia. «Abbiamo sentito gli intervistati pro Trump? E le stesse frasi del presidente eletto? Siamo davanti alla volgarità non alla scienza politica. E a me, che quando penso alla politica vedo Platone, sembra di assistere a un capovolgimento dei valori».

Anche Platone rifletteva sulla democrazia. Ralph Dahrendorf si chiedeva se la parola democrazia potesse essere intesa nello stesso mondo in qualunque parte del globo terrestre.

«Io sono più radicale di Dahrendorf. La democrazia, per me, non si identifica col voto. Per Kant era un’idea regolativa verso cui tendere. Mi chiedo: c’era democrazia nell’impero romano, nelle Signorie, nei principati, nei fascismi e nei comunismi che portavano le folle in piazza? È democrazia il Sì o il No a un referendum su problemi complessi? Credo di no. Democrazia è consapevolezza. Che oggi manca, ci sono complessità che il popolo non percepisce. Platone, dopo aver esaltato la democrazia ateniese, vedendo certe miserie quotidiane si era chiesto se non fosse il caso di affidare le sorti di uno Stato o di una Polis agli arìstoi, ai migliori, la cosiddetta aristocrazia. Bisogna poi vedere chi sono davvero i saggi, e questo è un bel dilemma. Ragionando sulla parola “misura”, Platone diceva che se il suo riferimento è il conveniente e l’opportuno, si va fuori binario. Oggi, davanti ai grandi temi, dalla Brexit al voto americano, dalle prossime elezioni in Francia o in Olanda, per non parlare dello sconvolgente fenomeno delle migrazioni, non prevale la ragione, ma il risultato elettorale. Cioè, come diceva Platone, si guarda alla convenienza. Qual è la convenienza? Catturare il voto».

E siamo al populismo. Che cos’è per un filosofo come lei questa parola gettonatissima e un po’ abusata?

«Il populismo ha successo laddove il popolo non è istruito. Abbiamo radiografato i flussi elettorali sulla Brexit? Il voto delle città e quello delle campagne? E il successo di Trump? Si va incontro ai moti pulsionali, si cerca di far sfogare gli istinti. La maggior parte del popolo americano non accetta che sia vietato l'uso facile delle armi. Ci sono idee che fanno presa sui giornali, ma la gente va al market e compra mitragliette e P38. Davanti ai temi seri la ragione è annientata, trionfa la pancia».

A dettar legge sembra la finanza: che si occupa di armamenti, di Ogm, di distribuzione alimentare, di università private a costi proibitivi.

«Platone aveva parlato di tecnica règia perché assegnava finalità a ciascuna tecnica. Oggi la tecnica dell’armaiolo – negli States, nel Bresciano o nel Sulcis poco importa – è legata alla finalità che indica l’apparato economico che a sua volta è subordinato alle disponibilità garantite dall’apparato tecnico. E la politica? Si trova in una situazione di adattamento passivo, nulla può controllare né tantomeno indirizzare. La politica non è più egemone. Nelle decisioni che contano Wall Street pesa più della Casa Bianca. A fare la voce grossa è la finanza; vogliamo ricordarci della Lehman Brothers Holding?».

La tecnica diventa superstar non solo nei Paesi occidentali. La tecnica informatica non ha le sue capitoli nell'Est asiatico?

«Lo è diventata da tempo. Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre è diventata proprio lei l’ambiente che ci circonda. Viviamo di tecnica secondo quelle regole di razionalità che, misurandosi sui soli criteri della funzionalità e dell’efficienza, non esitano a subordinare le esigenze dell’uomo al business dell’apparato tecnico. Il suo funzionamento diventa planetario. Siamo davanti a una rivoluzione che ci propone di rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età umanistica. Nell’età della tecnica, dovranno essere rifondati alle radici. Dicevo verità. Ma oggi non si parla di post verità? Che cos’è l'identità per un sardo? E per un veneto che vuole la sua autonomia? C’è la tecnica, c’è la finanza, manca la politica. Così vivendo non si costruisce nessuna biografia, si tende all’omologazione».

Lei, non da oggi, fa tutt’altro che demonizzare la tecnica, anzi. È uno dei temi centrali del suo libro-cult.

«Senza la tecnica l’uomo non sarebbe sopravvissuto. Vi immaginate oggi i trasporti col carro a buoi? Chi oggi smarrisce un telefonino non si sente annientato o quasi? Vi è capitato di perdere tutte le mail della posta elettronica per un virus? Ho scritto e ripeto che la tecnica è l'essenza dell’uomo, senza la tecnica l'uomo non sarebbe sopravvissuto. Oggi la tecnica non è in laboratorio ma anche nella cucina di casa. Dobbiamo fare in modo che sia l’uomo a governarla, questo compito è della politica».

Anni fa lei aveva parlato di “parole nomadi”. È diventata tale, oggi, anche la parola libertà?

«Senza persuasione le parole verità, giustizia ma anche la parola inganno non hanno efficacia. Siamo sempre meno persuasi da quanto ci viene proposto. Stanno mancando gli orizzonti di senso, tutto ci appare come un frammento, è come ve venisse meno l’idea di verità. Poco fa, del resto, non abbiamo parlato di post verità? Siamo circondati più da incertezze che da certezze. Avviene nei tempi di transizione. E noi siamo in mezzo al guado. A Cagliari parlerò dell'illusione della libertà nell'età della tecnica. Siamo liberi immortalati da un occhio telematico passo dopo passo?».

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