La Nuova Sardegna

Architettura e utopia Antonio Simon Mossa creativo multiforme

di Paolo Curreli
Architettura e utopia Antonio Simon Mossa creativo multiforme

Dal razionalismo alla riscoperta dei segni delle radici Centinaia di documenti messi a disposizione dagli eredi

06 dicembre 2016
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ALGHERO. Il centenario della nascita restituisce alla Sardegna, nella sua interezza, la figura multiforme e affascinante di Antonio Simon Mossa. Recentemente ricordato per la sua attività politica con un convegno a Sassari organizzato dal Ps d’Az, in questi giorni Alghero ricostruisce con una mostra a Lo Quarter – aperta fino al 26 febbraio –, l’attività del creativo dalle mille sfaccettature: architetto, poeta, musicista e cineasta. Un uomo per cui progettare significava conoscere e conoscere lo portava a immaginare e tentare di costruire un mondo nuovo e più giusto.

A Lo Quarter un ritratto anche intimo e toccante nel teaser del documentario di Laura Piras “Tutto per la causa”. In mostra la prolifica produzione di Simon Mossa architetto, più di 400 i progetti che sono venuti alla luce, e la scoperta dei processi creativi legati alla sua multiforme attività. Tutto attraverso materiali inediti, disegni, bozze, fotografie, lettere e filmati messi a disposizione dal figlio Pietro. «Riordinando la casa di famiglia a Sassari ho avuto la possibilità di riscoprire il suo archivio. È stata un’esperienza toccante e fondamentale anche dal punto di vista personale – racconta Pietro Simon Mossa –, sono il figlio più giovane, quello che ha passato meno tempo con lui, morto a soli 54 anni nel 71, quando io ero ancora bambino. Riavere tra le mani le sue carte, appunti e progetti è stato come ricostruire un dialogo, accedere alla lezione di vita che non ho avuto il tempo di ascoltare».

Il collettivo di giovani architetti Mastros – che cura questo aspetto della mostra –, è l’unico depositario di questo materiale. Centinaia di progetti di un uomo prolifico e la scoperta dei passaggi che portano un razionalista puro verso la riscoperta di stilemi popolari e “l’invenzione” di uno stile mediterraneo, che più che una trovata di estetica per il turismo, appare nel sua visione come un manifesto politico: “Mediterraneo è bello” si potrebbe dire parafrasando lo slogan degli afroamericani, una estetica dell’orgoglio lontana dalla voglia di dimenticare un sud povero di cui ci si vergogna. «Simon Mossa ha un’idea dell’indipendentismo slegata dal risentimento nato nel fango delle trincee di Lussu – dice l’antropologa visuale Laura Piras –, dalla nazione abortita di Bellieni e ma più realizzabile. Lui sogna gli stati confederati del Mediterraneo, vede oltre l’isolamento, porta il colore di Mirò con la cupola di San Michele ad Alghero. Le sue superfici bianche sono un manifesto ottimista e internazionale».

Interessante a questo proposito il processo che porta alla realizzazione del Museo del Costume di Nuoro alla fine degli anni ’50. «I primi disegni del ’52, riscoperti dal figlio Pietro, descrivono un edificio razionalista, molto bello che doveva sorgere alla fine di viale Manzoni – spiega Andrea Faedda architetto di Mastros –. Il villaggio sardo è staccato: una serie di case che rappresentano le soluzioni architettoniche delle diverse regioni sarde». In cima al viale e alla scalinata si decise poi di costruire il tribunale. «Una scelta della presenza dello Stato molto simbolica – sottolinea Faedda –. Per motivi ancora da indagare si scelse il poco distante colle di Sant’Onofrio per ospitare il museo dell’identità sarda, intesa finalmente come cultura. Qui Simon Mossa ripropone soluzioni aborrite dal razionalismo come l’arco, e progetta e un museo che è anche un villaggio che doveva ospitare le botteghe artigiane. Un’idea dell’architettura come spazio di relazione, il vicinato del paese come nucleo della vita».

I molti disegni, testimonianza di una prolifica attività, raccontano questa parabola, il giovane architetto che si è formato nel momento in cui l’architettura italiana è l’apice dell’ideazione europea con il razionalismo, ha il coraggio di guardare in basso e alla tradizione. «Si accorge, come Tavolara con cui collaborò, che l’artigianato sardo nasce moderno. Uno stile essenziale, aniconico e stilizzato distillato in migliaia di anni», spiega Andrea Faedda.

Nel filmato “Tutto per la causa” che anticipa un lavoro più corposo di Laura Piras un’intervista alla sorella Angela. Il ritratto di un fratello amorevole e creativo che anima la loro giovinezza suonando e inventando film e commedie. Il ricordo dell’impegno ambientalista, contro la petrolchimica sotto Capo Caccia, in tempi in cui l’industria era l’orizzonte della modernità. Nel documentario l’ultima telefonata dall’ospedale con il saluto ai suoi familiari. «Mia sorella Pepita decise di registrarla – ricorda Pietro Simon Mossa –. Voleva un segno tangibile dell’amore di mio padre per la sua famiglia, perché la sua voce ce lo facesse sentire sempre vicino».

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