La Nuova Sardegna

Le psicopatologie dei personaggi deleddiani: Marianna Sirca depressa, Elias Portolu nevrotico

di Franca Carboni *
Le psicopatologie dei personaggi deleddiani: Marianna Sirca depressa, Elias Portolu nevrotico

Una neuropsichiatra usa gli strumenti della scienza medica per analizzare alcuni dei più famosi personaggi della scrittrice

23 dicembre 2016
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Il sublime talento descrittivo di Grazia Deledda si estende ben oltre la sua capacità di allestire scenografie e ambientazioni pennellandone i colori fin quasi agli odori e ai suoni, e va al di là anche dell’allestimento “stagionale” che i suoi romanzi assumono quando le storie racchiudono, in primavera ed estate, i prologhi passionali e sereni, per arrivare al triste autunno e all’inverno nei momenti dolorosi e più carichi di pathos. La sua capacità, sottovalutata, raggiunge risultati eccelsi nel descrivere i pensieri dei suoi protagonisti, soprattutto nei momenti in cui maggiore appare la loro ruminazione ossessiva, la loro condizione depressiva o la follia tout court.

NEL FONDO DELL’ANIMA
La motivazione del Nobel del 1926 coglie appieno l’arte di Grazia Deledda recitando: «Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». Rileggendo i suoi romanzi alla ricerca di tale profondità, si rimane incantati e stupiti dalla possibilità che il testo offre di formulare diagnosi psicopatologiche per i suoi personaggi secondo i più recenti criteri internazionali. E se ognuno di noi, spingendo la penna dentro il proprio pensiero, può parlare del proprio disturbo, vien da chiedersi come poteva Deledda spingersi dentro una tale varietà di disturbi, all’interno dei quali era in grado di raccontare i momenti più adattivi e quelli decisamente meno coerenti con la realtà circostante.

I PENSIERI ALTRUI
La scrittrice ogni tanto sembra aver voglia di spiegare la sua metodologia e cercando accuratamente tra i suoi scritti troviamo qualche indizio. Per esempio, nel romanzo “Incendio nell’oliveto”: «Gli oziosi han tempo anche di osservare i pensieri altrui”; o in “Nostalgie”, quando Gabrie nell’intento di diventare scrittrice «raccoglie, raccoglie: vede un tipo, l’osserva, lo raccoglie»; o in “Cosima” quando nella vigna, parlando del vecchio che la custodisce, l’autrice scrive: «Egli avrebbe forse potuto provare a esplorarlo, a farlo diventare docile e confidente».

ARTISTI PRIMITIVI
Molti narratori hanno descritto persone inadeguate e, spesso folli nei loro romanzi, fino a creare persino degli stereotipi, ma quasi mai ritroviamo in uno scrittore nevrosi, ossessioni, psicosi con tale accuratezza da far capire, a chi come me svolge la professione di neuropsichiatra, quale sia il recondito dolore che muove la scrittura. Grazia non sente il bisogno di crearsi un romanzo familiare, che in psicoanalisi costituisce quel complesso di fantasie consce e inconsce che possono arrivare talvolta alla costruzione di articolate storie sui propri natali, deformando anche in modo grandioso la propria famiglia e le proprie origini. Anzi, dopo la consegna del Nobel afferma: «Sono nata in Sardegna, la mia famiglia composta di gente savia ma anche di violenti e di artisti primitivi aveva autorità e aveva anche biblioteca». E con straordinario coraggio, per la giovane età e per l’ambiente in cui viveva, proprio dal racconto della sua realtà familiare attinge a molti dei suoi protagonisti.

VECCHI SOLITARI
Ed ecco comparire più volte ragazzi con disturbi comportamentali e iperattivi come quelli del fratello Andrea, rigide anaffettività, fino alla depressione di cui, dalla descirzione della narratrice, pare affetta la madre. Affascinata dai vecchi solitari, l’autrice li colloca, più volte e con tratti diversi, in molte storie, forse colpita dalla vicenda del nonno materno, che pare avesse concluso la vita isolato in un podere.

Grazia Deledda scriveva le sue storie quando la psichiatria moderna era ben lontana dall’avere dignità di specializzazione scientifica. Solo nel 1908 Eugen Bleuler rivede il concetto fissato da Emil Kraepelin di dementia precox trasformandolo in quello di schizein-phren (dal greco, “mente divisa”).

NEL SOLCO DI FREUD
Nel libro “Il segreto dell’uomo solitario” Deledda descrive magistralmente la psicosi paranoide di cui soffre Cristiano, il protagonista, dedicando intere pagine alle sue rimuginazioni e ricostruendo il rapporto quasi edipico con la madre. Freud pubblica e descrive la nevrosi ossessiva nel 1896 su una rivista altamente specialistica, ma è solo nel 1909 che la pubblicazione del caso dell’’“Uomo dei topi” ne ufficializza l’esistenza nosografica. “Elias Portolu” esce nel 1900 ed è appunto un inno alla rimunginazione ossessiva, che pervade tutti i personaggi della storia, anzi diventa la storia stessa, dove tutti restano prigionieri del passato, incapaci di andare avanti trovando soluzioni positivamente catartiche per risolvere il loro destino. Elias cerca di costruire fuori di sè le barriere che potrebbero ostacolare le pulsioni misteriose e pericolose che lo agitano, tentando di chiudersi in una fortezza scevra di affetti e contaminazioni: la chiesa e il suo destino di prete. Anni dopo arriverà Franz Kafka a descrivere la costruzione labirintica e isolante dal mondo del protagonista della “Tana”.

MARIANNA E IL NULLA

Cosa dire, ancora, del romanzo “Marianna Sirca”, dove i protagonisti sono figure povere che quasi scompaiono nelle pieghe della storia se non per i movimenti che fa loro compiere la protagonista, Marianna. Ma perché questa storia, con tali insignificanti personaggi, è tanto piena di pathos da farci sprofondare dentro una pozza infinita di dolore per la sorte dei due innamorati? Cosa fa Marianna lungo tutta la storia? A ben vedere, non fa mai niente. Non cucina o cuce o spazza come le altre donne. Non esce, non prende un cavallo e va incontro al suo amore. Non lavora, non chiacchiera, non si muove, non si dona all’amato, non è civetta, finanche non prega, se non per sè stessa.

IL RAGAZZO BULIMICO
Un raggelante NIENTE che paralizza e annienta i suoi comprimari. È quando dice «perché voglio legarmi con lui più per la morte che per la vita» che finalmente svela il grande suo dolore, che nessuno può lenire, ma che tutti travolge: la depressione. Un’ultima breve annotazione riguarda la capacità di Grazia Deledda di attribuire ai maschi patologie modernamente considerate soprattutto appartenenti al genere femminile, come la nevrosi isterica o come nella novella “Il cinghialetto”, dove Signoriccu, il ragazzino anaffettivo (ed anche questa è una moderna categoria nosografica), risulta affetto da bulimia.

GRANDEZZA VERA
Vorrei concludere con una semplice considerazione: al di là del piacere che ognuno di noi può o non può ricavare dalla lettura della Deledda, le tante considerazioni fatte da illustri critici letterari in occasione delle recenti celebrazioni e queste poche mie (ospitate ance dal sito Criticaletteraria.org) dovrebbero servire a ridare spessore – lo stesso che le fu attribuirono con il Nobel – a questa donna di Sardegna.

* Ex primario del Servizio di neuropsichiatria dell’ospedale “Zonchello” di Nuoro

 

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