La Nuova Sardegna

Il Caravaggio ritrovato rivoluziona la storia dell’arte in 69 opere

di Paolo Curreli
Il Caravaggio ritrovato rivoluziona la storia dell’arte in 69 opere

Una ricerca che attribuisce nuovi capolavori al Merisi «Questi sono i suoi disegni scoperti all’Ambrosiana»

09 gennaio 2017
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SASSARI. Amato e maledetto, osannato e poi dimenticato per secoli. La figura di Michelangelo Merisi da Caravaggio rivive– nell’epoca dell’immagine e della globalizzazione – una notorietà senza precedenti, forse per la sua vita spericolata, tra duelli, un omicidio, fughe disperate e la fine tragica sulla spiaggia di Porto Sant’Ercole a un passo dalla redenzione, o molto più probabilmente per la potenza moderna della sua pittura: capace di diventare contemporanea anche per gli uomini del terzo millennio. Scoperte sensazionali, bufale ed eterne diatribe sulle attribuzioni hanno riempito, negli ultimi anni, anche le pagine dei giornali più popolari, uscendo dalla ristretta cerchia degli specialisti. In questi ultimi mesi un’imponente e seria ricerca dello storico dell’arte Franco Moro colma l’assenza di notizie sulla formazione del giovane Michelangelo e propone numerose opere all’attenzione degli studiosi riconoscendo in esse la mano del’artista.

Il suo libro propone la soluzione anche del grande mistero dell’assenza di disegni di Caravaggio, mai trovati e mai rilevati nemmeno nelle analisi delle tele?

«Il giovane Michelangelo deve aver dimostrato fin da fanciullo le proprie qualità se la madre Lucia Aratori rimasta vedova decide di investire parte del proprio patrimonio vendendo terreni per mandare il primogenito a Milano alla bottega di Simone Peterzano. E se non attraverso il disegno e le prime coloriture con quali strumenti potevano giudicare il talento di un bambino».

Nuove ipotesi anche sugli ambienti in cui il giovane artista si forma?

«Nel volume ipotizzo che potrebbe aver lavorato per un pittore di grottesche di nome Vincenzo Moietta, oltre a frequentare il cantiere del santuario mariano di Caravaggio che veniva ampliato in quegli anni. La sua formazione non sarà poi solo legata alla lezione venezianeggiante del Peterzano; certamente frequenta studi e botteghe e conosce l’ambiente artistico milanese, in particolare che guardi anche a Giovanni Ambrogio Figino e, novità assoluta, ai fiamminghi come i grandi ritrattisti Anthonis Mor e Hendrick Goltzius.

Propongo poi che il suo soggiorno milanese duri meno dei quattro anni stabiliti dal contratto con il Peterzano e frequenti Bergamo prima di recarsi verso Venezia (già ricordata delle fonti come tappa mai indagata) e forse a Padova. Queste ipotesi nascono dalle opere che propongo alla sua mano, alcuni ritratti che recano lettere con indicati i nomi di personaggi di Bergamo, tale Ludovico Casale (come anonimo in deposito dalla Pinacoteca di Brera al Tribunale di Milano) e Giovanni Antonio Berlendis (ubicazione ignota) o due altri conservati alla Accademia Carrara di Bergamo che stilisticamente appaiono coerenti e corrispondenti ai primi anni: dunque verso i 16/17 anni».

Una formazione nel nord-est ?

«L’idea di Padova viene sostenuta anche dalla corrispondenza di taluni ritratti con quelli di un altro pittore attivo in quegli anni e noto per essere ritrattista dell’ambiente accademico oltre che di quello nobiliare: Francesco Apollodoro detto il Porcia, presso il quale ipotizzo il nostro si stabilisca a dipingere ritratti e altro. Così identifico due Ritratti al Museo Civico di Padova e altri in vari musei come a Stoccolma (Nationalmuseum) datato nel marzo 1588, Londra (National Gallery), che mostrano una più marcata sterzata veneta. Se le ipotesi del suo soggiorno patavino fossero corrette Merisi frequenta certamente lo stimolante ambiente culturale attorno a quella che era la più importante università del tempo».

Guardando queste opere appare una visione serena, certamente meno tragica di quella che Caravaggio sviluppa a Roma?

«Le mie sono evidentemente solo supposizioni motivate dallo stile con il quale Merisi si esprime nelle opere più antiche del suo percorso romano, quelle riconosciute fino ad ora giovanili, dalle due versioni della Buona ventura ai Bari, dal Riposo della fuga in Egitto alla Maddalena Doria Pamphjli fino circa alle tele Contarelli. E così ugualmente confermato dai ritratti e dai disegni che sono andato a proporre nel volume. Certo non escludo che fosse un carattere bizzoso o vivo o che frequentasse taverne e osterie (anzi queste di sicuro essendo egli senza famiglia) ma dal suo esprimersi traspare precisione, pacatezza e morbidezza. Credo le continue invidie e cattiverie forse non tanto per il processo del 1603 che mette in luce le gelosie che esistevano nei suoi confronti da parte dei giovani colleghi pittori, da Giovanni Baglione a Tommaso Salini a molti altri (di Federico Zuccari si sapeva già dalla visita alle tele Contarelli) quanto soprattutto quando ritirano le pale dagli altari il giorno stesso della loro posa: primo esempio fu il cambio del San Luca scrivente ma soprattutto poi per la Morte della Vergine, la Madonna dei Palafrenieri ecc. che perde probabilmente davvero le staffe!».

Esiste un motivo per cui i grandi nomi che hanno studiato Caravaggio non abbiano sondato queste strade?

«Le fonti da me prese in considerazione sono le stesse conosciute: Mancini, Baglione e Bellori il più tardo ma in fondo il più attendibile, oltre a van Mander che in realtà parla per primo dello straordinario valore del Caravaggio dei primi anni romani (scrive già nel 1603). La differenza sta nell’interpretazione di alcuni passaggi e nell’accetarne o meno altri.

Longhi ad esempio quando scrisse i precedenti risolse la formazione e l’eventuale soggiorno a Venezia con la conoscenza dei pittori bresciani Moretto, Savoldo, Romanino prima di far partire Merisi per Roma subito dopo l’agosto 1592, dopo aver venduto l’ultimo terreno a Caravaggio. E così la critica successiva si è attenuta a tale visione un poco semplicistica e riduttiva: ma i tempi non erano maturi e per allora che gli studi su di lui erano agli inizi era già un grande passo».

Come si fa la ricerca nel suo campo, come si studia un quadro antico?

«La ricerca, in questo caso, nasce da una intuizione il giorno in cui avvicino le fotografie di quattro dipinti, quattro ritratti maschili di autori anonimi. La scintilla scoccò nel rendermi conto che quei primi ritratti non erano di quattro pittori anonimi ma di un solo autore: lo stile esecutivo e soprattutto l’indagine psicologica sul volto di ciascuno appartenevano alla stessa mente o mano esecutiva. A quel punto andava evidentemente tutto verificato dal vero, sull’osservazione e l’analisi diretta delle opere. La certezza non c’era sebbene lo stile e i passaggi anche cromatici di alcuni fossero in perfetta sintonia con quelli delle prime opere romane.Una volta accertato lo stile giovanile espresso da Michelangelo nella ritrattistica ho potuto identificare alcuni disegni che sono realizzati con il medesimo spirito indagatorio e naturalistico, con la stessa attenta precisione e sensibile morbidezza esecutiva. Si tratta di alcuni studi per volti conservati nel Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco e nella Biblioteca Ambrosiana a Milano. Dunque, è saper leggere la qualità di un’opera d’arte, saperla distinguere dalla massa delle altre la prima qualità di questa ricerca. La precisione nell’analisi e l’onestà nel giudizio sono altre componenti. Io sono il primo giudice di me stesso. Un poco scienziato e chirurgo, un poco psicologo e percettore di stati emotivi: non a caso la prefazione al volume è stata scritta da Filippo M. Ferro, uno storico dell’arte che frequentò gli allievi di Longhi che professò la carriera di psichiatra quale seguace di Basaglia, insegnando all’università».

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