La Nuova Sardegna

Nereide Rudas l’arma della critica nel segno di Gramsci

di Sabrina Zedda
Nereide Rudas l’arma della critica nel segno di Gramsci

Un incontro a Cagliari a poche settimane dalla scomparsa Scienziata e intellettuale dalla parte della dignità dell’uomo

05 febbraio 2017
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CAGLIARI. Una guida, un’amica, ma anche una donna che, in anni in cui il mondo era declinato soprattutto al maschile, col suo valore ha abbattuto i muri dello scetticismo, guadagnandosi il rispetto di tutti.

Sono passate poche settimane dalla morte della docente e psichiatra di fama internazionale Nereide Rudas, scomparsa il 19 gennaio a 91anni. Eppure, il vuoto lasciato appare così urgente da colmare che intorno alla sua figura e al suo lascito già si organizzano delle iniziative. Come “Ricordando Nereide Rudas, la cultura e la passione”, l’incontro organizzato l’altra sera dall’Istituto Gramsci della Sardegna, che ha chiamato a raccolta rappresentanti delle istituzioni, del mondo accademico, amici, familiari e studiosi. Un momento per ricordare un personaggio chiave della cultura sarda, che è stato anche l’occasione per l’assunzione di un impegno da parte della Regione: «Mi impegno fin da ora a mettere a l’assessorato a disposizione per lavorare a ricordare la sua figura», ha dichiarato l’assessora alla Cultura, Claudia Firino.

Nata a Macomer nel 1925, Nereide Rudas è stata pioniera in molti ambiti: aveva solo 17 anni quando si iscrisse in Medicina all’Università di Bologna. Una facoltà, quella di allora, in cui la Rudas era una delle tre studentesse su cento iscritti in totale. Da allora una sfilza di successi e traguardi prima nemmeno pensabili in un universo tipicamente maschile: prima donna professore ordinario di antropologia criminale, prima donna professore ordinario di psichiatria e direttore di una scuola di specializzazione in psichiatria. Ai suoi malati non si rivolgeva con il freddo piglio della scienziata: «Diceva che per aiutare il paziente bisognava capire anche la sua storia – ha ricordato il presidente dell’Istituto Gramsci, Antonello Angioni –. Quindi non si fermava alla sola dimensione biologica o psicologica, andava oltre, vedendo nel malato un soggetto di diritti». Donna curiosa e coltissima, Nereide Rudas scrisse tantissimo, occupandosi anche di temi come l’immigrazione, la depressione nell’anziano o le conseguenze che la perdita del lavoro provoca nella psiche. Ma non si fermò al solo ambito psichiatrico: «La sua capacità di capire le dinamiche della società la portò a diventare presidente dell’Istituto Gramsci», ha aggiunto Angioni. Tra la mole di attività portata avanti ci fu anche l’approfondimento del caso delle “false carte di Arborea”, viste da lei non come dei falsi tout court, ma come un fulgido esempio di ricerca di un’identità sarda. Da grande studiosa di Gramsci, Nereide Rudas approfondì lo studio della lettera dal carcere che il fondatore del Pci scrisse alla cognata Tania il 27 febbraio 1933. Una missiva da cui emerge una descrizione dei fatti che lo portarono in prigione addebitabile a un “tribunale interno” (quello fascista), ma anche a uno “esterno” e più tormentoso perché ascrivibile al partito sin ai suoi vertici in Russia (Stalin).

Durante la serata, coordinata da Sabrina Perra, del direttivo dell’Istituto Gramsci, contributi sono arrivati anche da Bernardo Carpinello, docente all’Università di Cagliari, che ha lavorato al fianco della Rudas per quarant’anni: «Ci ha insegnato a rispettare la dignità di ogni uomo, soprattutto quando la malattia mentale ne fa l’ultimo tra gli ultimi», ha detto. La prefetta di Cagliari, Giuliana Perrotta, l’ha ricordata quando, il 25 novembre, presentò “Donne morte senza riposo”, il suo ultimo libro: «Nonostante l’età era dritta come un fuso e il suo discorso, che non faceva una grinza, ci lasciò senza parole».

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