La Nuova Sardegna

Dalle curiose storie siciliane nasce il Camilleri migliore

Nuova edizione de “La mossa del cavallo”, opera ai vertici dello scrittore Un ispettore dei mulini cresciuto al Nord ritorna in Sicilia alla fine dell’Ottocento

13 marzo 2017
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Riletto oggi, profittando della nuova edizione appena pubblicata da Sellerio, “La mossa del cavallo” (272 pagine, 14 euro) acquista quel valore che al tempo dell’uscita per Rizzoli, e sono ormai passati quasi venti anni, non aveva saputo, o potuto, mostrare. Forse, a nuocergli, era stata la vicinanza cronologica con quelli che restano i vertici della produzione di Andrea Camilleri, “Il birrario di Preston” del 1995 e “La concessione del telefono” del 1998, opere consimili in quanto appartenenti, così come appunto “La mossa del cavallo”, al genere di quel romanzo storico per cui lo scrittore di Porto Empedocle ha sempre o quasi sempre tratto spunto da curiose, quando non bizzarre, notizie di cronaca locale.

Ora, lontana da confronti impegnativi, la vicenda che ha per protagonista Giovanni Bovara può trovare il suo giusto gradimento, senza rischiare di perdersi in un corpus camilleriano che libro dopo libro si è nel frattempo fatto impressionante per dimensioni. Il Bovara, nato a Vigàta ma portato dalla famiglia a Genova ad appena tre mesi e lì cresciuto, dopo la morte dei genitori è stato allevato da uno zio paterno e da sua moglie, anch’essi siciliani trasferitisi in Liguria. Delle sue origini gli resta una parziale comprensione del dialetto vigatese, che gli torna non poco utile quando nell’estate del 1877 viene chiamato a ricoprire il ruolo di ispettore capo ai mulini presso l’Intendenza di Finanza di Montelusa – ovvero il centro che, come sanno tutti i fan di Camilleri, sta giusto a un tiro di schioppo da Vigàta –. I due che l’hanno preceduto nell’incarico, Tuttobene e Bendicò, sono finiti a far da pasto rispettivamente ai pesci e ai cani; Bovara gradirebbe miglior sorte, ma il suo spirito integerrimo si scontra presto con quel mondo in cui tutto segue leggi sue proprie che è la Sicilia.

La gestione dei mulini e delle relative tasse pretese dallo Stato centrale, per dire, è in mano al ricco e potente (e mafioso) Cocò Afflitto: il quale, dalle intromissioni di Bovara nei suoi malaffari, avrebbe solo da perderci, e sfruttando un’occasione favorevole arriva a farlo incolpare di un omicidio del quale invece l’ispettore è stato semplice testimone. È qui che “La mossa del cavallo” si dimostra opera di sottile ingegno, oltre che lettura godibile: precipitato in luogo che gli appare totalmente alieno, Bovara riavvolge il labile filo che lo lega alle sue ascendenze e compie una trasformazione culturale e linguistica che lo muta, da “italiano”, in siciliano tra i siciliani: giocando finalmente alla pari con gli avversari, proverà (riuscendoci?) a far propria la partita.

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