La Nuova Sardegna

Pusceddu: «Perso nella libertà del racconto»

di Monica De Murtas
Pusceddu: «Perso nella libertà del racconto»

L’autore nuorese tra gli scrittori inseriti nella collana di otto titoli che sarà in edicola a partire da venerdì 21 aprile

19 aprile 2017
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All’interno della collana “Maestri sardi del giallo” (in edicola con La Nuova Sardegna a partire da venerdì 21 aprile con “Il terzo suono” di Salvatore Mannuzzu) è inserito anche un noir ambientato tra gli Usa e la Barbagia, “Il mio vero nome”, del magistrato Mauro Pusceddu. Il romanzo, che si tinge di giallo seguendo lo schema fantasioso e avvincente di un thriller, racconta una vicenda in cui i misteri legati al rapimento di Aldo Moro si intrecciano con le scelte di un uomo in fuga dal proprio passato e alla ricerca di una nuova identità.

Nato a Nuoro nel 1969, Mauro Pusceddu, nelle sue vite precedenti – si legge nella sua biografia – è stato avvocato, boy-scout, maratoneta interiore, collezionista di francobolli,componente del collettivo di scrittura Elias Mandreu con cui ha pubblicato due romanzi: “Nero riflesso” e “Dopotutto” (Il Maestrale, 2009 e 2010). Nella sua prima opera in solitaria Pusceddu prosegue nel segno del giallo inserendosi nel ricco filone dei giudici-scrittori (tra cui Salvatore Mannuzzu, Gianrico Carofiglio, Giancarlo De Cataldo solo per citarne alcuni) che appassionano il pubblico con storie in cui l’esperienza professionale incontra la passione per la scrittura. «Ciò che probabilmente accomuna i due mestieri è l’esigenza di comporre un mosaico – dice Mauro Pusceddu – di ricostruire una storia attraverso vari elementi, ma giudice e giallista appartengono a due mondi opposti: uno ancorato ai fatti concreti l’altro alla fantasia».

Cosa l’ha portata a cimentarsi con il giallo?

«L'elemento della creatività, la soddisfazione di vedere ogni tassello al suo posto. Come giallista posso costruire la mia storia e il suo finale. Come giudice invece devo attenermi rigorosamente ai fatti, alle prove, devo seguire una trama scritta da altri e non sempre purtroppo nella realtà si arriva alla conclusione del caso. La pista spesso si interrompe, mancano le testimonianze si deve archiviare il caso senza poter scrivere la parola: fine».

Ci sono personaggi o vicende dei suoi racconti ispirati ai casi giudiziari di cui si è occupato?

Nelle storie che ho scritto sinora non c’è alcun legame con la mia esperienza professionale. Al mio mestiere devo la conoscenza del linguaggio legale e della dinamica delle procedure ma la mia voglia di scrivere nasce dalla necessità di inventare storie. Se scrivessi di casi che ho trattato mi sentirei prigioniero di una specie di sindrome di Stoccolma».

Nel suo ultimo lavoro sono presenti diversi elementi di rottura rispetto al giallo convenzionale. Si passa dal resoconto di fatti di cronaca come il rapimento di Aldo Moro a immersioni totali nel fantastico. Un intreccio di generi che incuriosisce.

«Credo nasca dalla mia passione per la lettura, sono da sempre un lettore onnivoro, amo tutti i generi ma lo schema di questo mio ultimo noir è dettato soprattutto dall’esigenza di raccontare una verità prospettica e meta-temporale. Mi interessa analizzare il lato oscuro, la parte nascosta di ogni personaggio, la capacità umana di essere multiformi, spesso molto diversi da come si appare. La vicenda di Aldo Moro con i suoi misteri tra cui la figura del terzo uomo, rappresenta l’emblema dei tanti chiaroscuri, delle zone d'ombra di cui è disseminata la realtà».

La vicenda parte dagli Stati Uniti ma si conclude a Nuoro un omaggio alla sua città?

«Nel noir l’elemento spaziale, il luogo dove tutto si compie è parte fondamentale del tessuto narrativo. La città rispecchia e rappresenta l’anima della vicenda ha un ruolo epicentrico per lavorare su questo elemento potevo scegliere solo il luogo che conosco meglio di ogni altro: Nuoro».

“Il mio vero nome” è un libro che parla di identità nascoste. Lei ha deciso di pubblicarlo utilizzando per la prima volta il suo nome vero, un “gioco” voluto?

«Dopo la bellissima esperienza con il collettivo in cui firmavamo con il nome di Elias Mandreu volevo pubblicare questo primo libro scritto da solo, con uno pseudonimo che ancora non avevo individuato, e un titolo efficace che non avevo ancora scelto. Alla fine con una sola idea “Il mio vero nome” ho risolto due problemi».

Nel libro oltre che con il suo vero nome appare anche come personaggio della storia.

«Questa componente metaletteraria era necessaria all’interno della struttura narrativa. L’idea è che lo scrittore non si sottragga al gioco di chiaroscuri in cui sono immersi gli altri personaggi».

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