La Nuova Sardegna

Una nuova “green economy” per non perdere il futuro

di GIACOMO MAMELI

Il lavoro nelle campagne e i siti archeologici le risorse contro la crsi

26 aprile 2017
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GIACOMO MAMELI. Al bar Ghentiana (nome di un villaggio antico alle porte di Ruinas) trovate passato, presente e futuro. Allo stesso tavolo Luigi Arru di 83 anni parla di lavoro nelle miniere di carbone in Belgio e Francia. «Ero partito nel 1954, qui non si moriva di fame ma di disoccupazione, ero finito a Péruwelz, alle porte di Bruxelles, quanta fatica, ma con quel calvario mi son fatto la pensione e oggi ci vivo». A fianco Sarah Fadda, 40 anni, sorridente ingegnere chimico venuta da Londra a trovare il padre Attilio: «Lavoravo come ricercatrice all’Imperial College, ho cambiato casacca, sono alla Process System Enterprise, ho paura di quanto è successo con Brexit, certo non potrò tornare in Sardegna dove nessuno si occupa di ricerca scientifica, base per lo sviluppo». Ascolta Davide Floris, 23 anni, studi di agraria, gregge al pascolo sui costoni di Masoni Obràda: «Lo sviluppo di queste zone è quello agropastorale. Ma va unito alla ricerca di cui parla Sarah. Credo nella scienza. Non posso condurre l'azienda come mio nonno. E basta col latte versato per 55 centesimi al litro. Ogni pastore deve trasformare il suo latte e vendere il suo formaggio, ogni falegname deve lavorare il suo legno, ogni cestinaio deve produrre i suoi cestini con le canne del suo torrente. Perché le donne non lavorano le lane? Perché si mangia solo pasta comprata a bottega e mai fatta a casa? Va ridata centralità all'economia locale pur sapendo bene che non basta per uscire dalla crisi. Ma oggi le campagne sono abbandonate, non abbiamo terreni per i pascoli, le capre sono animali liberi, hanno bisogno di spazi. Se pensiamo locale, se rimettiamo l'agricoltura al centro degli interessi politici anche comunali le cose potranno cambiare».

GREEN ECONOMY

Al bar si fa programmazione da green economy. Omar Tatti, 29 anni, scuole professionali ad Ales, proprietario di cento pecore: «Incrementerò il gregge e creerò un minicaseificio. Voglio vendere Ruinas, pecorini del mio paese. E ci posso vivere, perché nei nostri paesi il costo della vita è abbordabile». Di pecore ne ha 150 anche Antonello Vargiu, 31 anni: «Oggi si può fare zootecnica moderna, sarebbe bene che vendessimo anche le carni ovine anziché importarle dall'Albania o dalla Romania, ma con prezzi adeguati perché il lavoro dei campi è tutto sottopagato. E possiamo proporre carni in zone di eccellenza ambientale». Se uscite dal bar e andate verso le campagne - belle, colline dolci, tutte verdi, qua e là distese di sulla disegnano quadri d'incanto - trovate la vera sorpresa con giovani, sì, con giovani, con ragazzetti che vogliono vivere di campagna.

SEMPER PASTORES

È il terzetto da battezzare in sardo-latino “Semper pastores”. Figli d'arte, d'accordo, riuniti con le loro greggi nella zona di Pirèna. Emanuele Fadda ha 15 anni, frequenta la seconda all'Istituto alberghiero di Oristano: «Ma di sera, a compiti ultimati, sono fisso in campagna dove voglio vivere da grande. So già di avere un reddito, devo solo migliorare la conduzione dell'azienda. Oggi la condivido con mio padre Gennaro che di sera fa il pizzaiolo. Ma così restiamo in paese e non contribuiano a spopolarlo». Marco Secci di anni ne ha 18, è felice di guidare il suo fuoristrada. «A Oristano frequento il quarto anno del Tecnico Sergio Atzeni. Ma il mio domani è qui, una stalla funzionale e un mini stabilimento per i formaggi. Li venderò io, a Oristano e Cagliari, a Nuoro e Sassari. I clienti li trovo, sicuri». Il senior del trio è Nicola Marceddu, 20 anni: «Andò a vedere aziende francesi, voglio prendere lezioni dai migliori ma lavorando sotto il Grighine. E vivrò bene».

I PAESI-BONSAI

A Ruinas si arriva da Cagliari attraversando paesi-bonsai. Si passa da Ussaramanna, Baradili (85 abitanti, il più piccolo della Sardegna), Usellus, Escovedu, Siddi, Albagiara, Mogorella. Samugheo, che dista quindici chilometri, appare una metropoli. Trovare gente per strada è l'eccezione. Vedete più finestre chiuse che aperte. E serrande abbassate. In uno dei pochi negozi in attività un manifestone: «Si paga a spesa fatta prima di uscire, qui non sappiamo segnare». Paesi comunque decorosi, certamente fra i più puliti, fra i più ordinati e fioriti della Sardegna. Sono più graziosi di quelli della Barbagia e dei Campidani dove il non finito edile, e le cartacce per strada, con le periferie zeppe di rifiuti, tutto aggravano. A Ruinas hanno dedicato una piazza ad Arnaldo Tatti, un giovane sindaco ucciso mezzo secolo fa.

TRIONFO DI COLORI

La piazza è un trionfo di colori. Fiori anche davanti al bel negozio della parrucchiera Luciana Turru di 32 anni, mamma di Alessia. Ha il diploma di tecnica del turismo. Serve donne e ragazzi. «Ho iniziato dieci anni fa, qui ci sono da cinque, mi trovo benissimo. Ho una clientela affezionata anche dai paesi vicini. Certo, seguo la moda e le mode, mi aggiorno, faccio corsi professionali, c'è sempre da imparare. E alla fine del mese il mio stipendio è sicuro. Molto più di alcune colleghe che lavorano in città. Certo: non vivo nell'oro. Ma, tranne quelli baciati dalla fortuna, oggi chi vive nell'oro?».

TASSE INIQUE

Un negozio di generi alimentari. Lo gestisce Maria Pina Marceddu, ha in braccio la figlia Marika: «Se lo Stato non ci massacrasse di tasse vivremmo molto meglio, riusciamo a competere anche con i prezzi dei supermercati. Lo Stato, la Regione non possono però non tener conto degli svantaggi di chi ha un'attività commerciale in un piccolo paese dove posso arrivare a venti, trenta scontrini fiscali al giorno. Un esempio: è giusto che io paghi la corrente elettrica come chi gestisce un ipermercato in città dove di scontrini fiscali ne emette duemila?». Tornate per strada e, nelle vacanze tra la Pasqua e il 25 aprile, trovate bambini (elementari a Villa sant'Antonio, qui le medie anche per gli alunni di Mogorella, Villa sant'Antonio, Asuni, Assolo e Senis). La banca, la posta, la farmacia, il panificio di Giacomo e Lorenzo Ledda, al verde pubblico pensa Alessandro Marras, la trattoria di Walter Vargiu, l'ultimo impresario edile è Tigellio Pusceddu che di anni ne ha ottanta. C'è una cava di trachite gestita dai fratelli Frau di Fordongianus. E poi? E poi punto e basta. Passa il parroco in condominio don Ernesto Roka, rumeno, va e torna a piedi da Mogorella. Ma vi riemmergete subito nell'economia agropastorale. Su un trattore passa Antonio Secci di 81 anni. «Ho ancora venti mucche e cento pecore, una figlia insegna, un altro è forestale. Ma io la campagna non l'abbandono anche perché mi piace lavorare all'aria libera e senza padroni». Mai avuti? «Anche troppi. Ho lavorato in Europa e in Africa, in Asia e in Australia, anche negli Stati Uniti, sono un emigrato dei cinque continenti. Ma qui sto bene. Starebbero bene in tanti se l'agricoltura fosse più diffusa e più moderna. I giovani però devono studiare, stare dietro un gregge non basta più». Reggono bene le aziende pastorali dei Lostia (originari di Ortotelli), dei Duras (Fonni) e di Saverio e Antonello Murgia. Ecco un altro allevatore, Carmelino Setzu,70 anni. «Ho trenta pecore, io ci vivo, ma mi so accontentare».

COME SOPRAVVIVERE

Ci sono fiori anche davanti al municipio, retto da una donna, Ester Tatti. Il bilancio comunale viaggia su cifre di un milione e 400 mila euro. L'ufficio anagrafe documenta che nel 1951 c'erano 1482 abitanti, oggi sono 671. Sulla bacheca, l'elenco con 23 nomi per essere assunti come manovali edili, ci sono richieste anche da parte di Giovanna Maria, Francesca, Giovanna, Romina, date di nascita fra il 1952 e il 1995. «Ne abbiamo assunto tre», dice la sindaca. «Il vero problema è la mancanza di lavoro». Può sopravvivere Ruinas? «Sì. Con un impegno maggiore verso cultura e formazione. Va sradicata la sfiducia, fatta sopire l'apatia. Faremo iniziative per coinvolgere la popolazione: incontri, presentazioni di libri come è successo con Bachisio Bandinu. Mi piace far ritrovare i miei paesani seduti uno affianco all'altro proprio perché ci si senta paese». Un settore vincente? «L'uso sapiente del territorio, facendo rete. Penso a oliveti produttivi, vigneti produttivi, orti oltre il consumo domestico». Ottimista o pessimista? «Mi danno speranza i giovani, hanno studiato o studiano. Se poi ci dà una mano la storia, l'archeologia e l'artigianato potremmo sognare un paese vivibile». Ignazio Puddu, 62 anni, edicolante: «Resisterò ancora qualche anno, poi passerò la mano. Ma pochi giovani vogliono stare dietro un bancone».

Davanti al Comune passa festante la ricercatrice londinese: «Casa mia è qui, non Londra. Ma a Londra ho il lavoro». Passa in auto il trio “semper pastores”. Invitano la sindaca e Sarah al Ghentiana affollato. Il barista, Jonhatan Vargiu, è felice: «Tra birra e succhi di frutta questo è un centro di aggregazione sociale».

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