La Nuova Sardegna

«Il vero nemico della religione è l’indifferenza»

di Mario Girau
«Il vero nemico della religione è l’indifferenza»

Il cardinale a Cagliari parla del futuro della Chiesa Sui femminicidi: «Dio conta le lacrime delle donne»

01 maggio 2017
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CAGLIARI. Il vero nemico della religione non è, come nel passato, l’ateismo, e neppure la forte contrapposizione di ideologie che volevano cancellarla dalla storia. L'avversario è molto più infido: si chiama indifferenza, superficialità, agnosticismo. La diagnosi è di monsignor Gianfranco Ravasi, il prete messo, nel 2007, da Papa Benedetto XVI a presidiare la frontiera culturale della Chiesa, soprattutto il rapporto con il mondo accademico, le Università, e i luoghi dove si elaborano le idee che entrano nella vita dell'uomo, fino a condizionarla.

Un dialogo che il Vaticano cerca in continuazione, pronto ad adattarsi ai profondi mutamenti intervenuti – il sistema di comunicare per farsi capire dai giovani – ma vigile e fermo su quelli che considerai valori non negoziabili. Ravasi, padrone come pochi della cultura biblica, ne proclama uno subito contro il femminicidio: «Uomini, state attenti a non far piangere la donna, perché Dio conta le sue lacrime». È il suo quasi anatema, lanciato con le parole del Talmud, il libro che raccoglie le grandi tradizioni giudaiche, durante un incontro, a Cagliari, per celebrare un secolo di fondazione della parrocchia dedicata alla Madonna di Bonaria.

«Il concetto di cultura – dice il cardinale, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura – non riguarda più l’aristocrazia del pensiero. È diventato antropologico, trasversale. A livello alto, il divorzio dalla religione è avvenuto nel secolo scorso col venir meno del confronto tra pensiero cattolico e filosofia, fede e scienza, arte e liturgia (basta vedere le chiese moderne molto semplici, essenziali, anche non belle). Mentre il legame tra cultura e religione è proseguito in forme sempre più deboli, fragili».

La secolarizzazione, il fenomeno che considerava la religione remota e chiusa nello spazio del sacro, sembra in fase di trasformazione.

«La religione c’è, si sente e si vede. Qualche volta anche in senso negativo, come nel caso del fondamentalismo religioso. In senso positivo basta vedere la forza della figura di Papa Francesco nel mondo anche laico e non credente. Il pericolo per la religione non è il rigetto, non l’attacco violento, le persecuzioni, o la presenza di sistemi filosofici e ideologie politiche che volevano marginalizzarla ( comunismo e nazismo), ma l’indifferenza».

Contro questo rischio la Chiesa da un po' di tempo gioca la carta della nuova evangelizzazione, che però non fa presa sui giovani, non lascia il segno su di loro.

«E' vero. Uno dei problemi fondamentali della Chiesa cattolica e di tutte le religioni è il linguaggio, cioè riuscire a parlare in modo nuovo, con una sensibilità differente. Anche il fedele medio, tradizionale, che va in chiesa, ascolta l’omelia, non è più quello di 30 anni fa: oggi sta due-tre ore davanti alla televisione, qualche volta un’ora al computer, il giovane addirittura cinque ore davanti pc e col smartphone è connesso col mondo. C’è un modo tutto diverso di esprimersi e di giudicare le cose. Per questo motivo dobbiamo cercare di riproporre i valori permanenti – dell’etica, della spiritualità, della fede cristiana – soprattutto la potenza dei valori del Vangelo, con un linguaggio che riesca a catturare e far presa. Gesù Cristo usava i tweet: le sue frasi sono essenziali, ma incisive: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Le sue parole su fede e politica sono folgoranti. Cristo faceva ricorso alle parabole, sono come simboli, i racconti della televisione. Ecco lo sforzo che la Chiesa deve fare per fare entrare anche i giovani in sintonia con i valori evangelici».

Uno degli avamposti culturali occupati dal cardinale Ravasi è, da alcuni anni, il “Cortile dei Gentili”, il confronto tra credenti e non credenti.

«E' ormai è diffuso in tutti i continenti, nelle più importanti capitali del mondo. Un’esperienza molto positiva del dialogo tra chi ha la fede e chi non ce l’ha , persone che si interrogano su questioni importanti: vita, morte, oltre vita eventualmente; che cosa vuol dire eros e amore, il concetto di libertà, che cosa è la natura umana. Cioè incontri a livello alto, ma anche in modo più popolare. Ne ho fatto da poco uno con i carcerati, con i bambini» .

Nella lente d'ingrandimento è finita anche la musica, quella usata nella liturgia. Lei auspica un avvicinamento sempre più forte tra artisti, uomini di Chiesa e liturgia per far sì che un giorno si abbiano opere di grande qualità musicale come nel passato.

«I giovani oggi usano la musica come linguaggio loro universale. Ascoltano brani musicali dei generi più diversi. In chiesa si può ritornare al linguaggio dei giovani, anche in campo liturgico, e non deve essere solo un recupero del passato, il gregoriano, ma qualcosa di nuovo, come è stato sempre nella storia della cristianità. Musica sacra di alta qualità se unisce arte e fede».

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