La Nuova Sardegna

I primi 50 anni di Su Gologone Cucina al top e stanze d’autore

di Giovanni Fancello
I primi 50 anni di Su Gologone Cucina al top e stanze d’autore

E siamo a cinque lustri da quando Giuseppe “Peppeddu” Palimodde e Pasqua Salis, giovani, intraprendenti, ma sopratutto innamorati, hanno un sogno, realizzare un punto di ristoro nelle vicinanze della...

06 maggio 2017
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E siamo a cinque lustri da quando Giuseppe “Peppeddu” Palimodde e Pasqua Salis, giovani, intraprendenti, ma sopratutto innamorati, hanno un sogno, realizzare un punto di ristoro nelle vicinanze della sorgente Su Gologone. Proporre e dare dignità alla cultura contadina, è la loro filosofia. Dopo qualche anno è proprio in una dolce collina, ai piedi del monte Corrasi, sempre nelle vicinanze della fonte, che Peppeddu sogna di costruire un ristorante rispettando la tradizione locale, usando pietre, calce e legno di ginepro. Pasqua dal canto suo, aspira a riproporre la cucina di casa sua, quella tramandata dai genitori e apprezzata perché preparata col cuore.

Nel 1967 si pone la prima pietra e si parte col ristorante. Due sono le premesse: in cucina e in sala solo un sapere femminile e per la cottura delle carni quella maschile; il personale deve essere tutto di Oliena. La materia prima doveva provenire dalle campagne, dai campi e dagli orti del paese, rispettando la stagionalità. Poi ai primi candidi locali si aggiungono le stanze e, per alimentare una passione giovanile, opere d'arte di autori del Novecento sardo, iniziando da Biasi. L'amore si corona con la nascita di una figlia, Giovanna. Una eredità piena di suggestioni e stimoli che Giovanna, dopo gli studi, alimenta, integrando opere, percorsi, collezioni, stanze d'artista, botteghe e dando pregevoli pennellate di colore a tutto. A simboleggiare una prerogativa tutta sarda, una conturbante ospitalità. La signora Pasqua è sempre prodiga di racconti sulla cucina della sua infanzia, e quando parla di filindeu lo fa con nostalgia: «un tempo lo preparavamo per donarlo a Nuoro, nella Chiesa delle Grazie, ai poveri. Bastava un buono e profumato brodo di pecora, preparato con amore, dove si tuffava su filindeu e dadini di pecorino fresco acidulo, per consolare ogni sofferenza».

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