La Nuova Sardegna

Porti come giardini con la lana intelligente che digerisce lo sporco

di Alessandra Sallemi
Porti come giardini con la lana intelligente che digerisce lo sporco

L’Oms premia il banner mangia-inquinamento di Daniela Ducato Il prodotto di ingegneria tessile in vetrina a Cala Gonone su Linea Blu

06 maggio 2017
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di Alessandra Sallemi

La storia tutta sarda del banner che mangia l’inquinamento nei porticcioli turistici e nelle spiagge ha affascinato l’Italia attraverso la prima puntata di Linea Blu 2017 girata dalla Rai a Cala Gonone, vetrina scelta per presentare l’innovazione fra le prime dieci al mondo premiata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Miracolo della tecnologia, questa striscia chiara che si appende ai moli è in realtà una specie di culla, velocissima nel catturare le sostanze inquinanti e anche la microflora capace di digerirle e di restituire al mare un’acqua pulita. Il banner (geowool sea cleanup) è prodotto in Sardegna, nell’industria tessile di Bitti e, ancora una volta, è il risultato dello scambio permanente di dati, informazioni, scoperte della filiera di 40 aziende sarde, Edizero Architetture di Pace, attive in campi diversi.

La tessitrice di questa filiera è la pluripremiata imprenditrice Daniela Ducato, famosa per aver trasformato il pelo corto delle pecore da rifiuto difficile da smaltire a materia prima per isolanti naturali destinati all’edilizia e non solo. Ducato non vuole raccontare ancora una volta i suoi successi imprenditoriali perché le pare molto più importante sottolineare la forza della filiera: «Il nemico più grande dell’innovazione è l’essere soli. Ogni azienda di Edizero conduce ricerche per conto proprio ma i risultati vengono comunicati alle altre aziende e capita che informazioni non di rilievo per alcuni offrano prospettive nuove ad altri. La materia prima di tutto il nostro lavoro è l’intelligenza e l’osservare le cose da punti di vista sempre diversi». Il banner che previene l’inquinamento di mare e laghi è nato dalle soluzioni trovate per annientare l’inquinamento in ambienti molto diversi, come gli aeroporti.

La sua originalità è data dall’ingegneria tessile creata apposta per debellare il microinquinamento dei porti dove le barche possono perdere carburante, liquidi fisiologici, detersivi oppure nelle spiagge dove il flagello sono creme solari e spume per i capelli che formano uno strato irridescente sul pelo dell’acqua spesso visibile a occhio nudo. Il banner non è obbligatorio, come lo sono invece nei porti e sulle imbarcazioni i prodotti olioassorbitori per gli sversamenti di idrocarburi, ma se viene installato non dà problemi di gestione: la parte in acqua che assorbe gli inquinanti dopo 45 giorni si biodegrada da sola e diventa substrato per la microflora. «Noi siamo per l’industria 4.0 – dice Ducato – che coniuga alta tecnologia e non-spreco». Punto d’onore della filiera è che l’ormai famoso banner (già autorizzato dal ministero) è stato creato senza finanziamenti pubblici: «È un patto fra noi che risale al 2006 quando vennero finanziati progetti per valorizzare la lana di pecora – ricorda Ducato –, noi dicemmo di no. È giusto aiutare le aziende, non doparle. Il risultato di certe scelte è che i prodotti muoiono quando finisce il finanziamento. Noi pensiamo che più che di soldi ci sia bisogno di ascolto delle persone nei territori, e di strumenti quali una continuità territoriale delle merci o, banalmente, un linea adsl».

Alla fine è chiaro come è nato il banner, ma dove comincia l’idea della filiera? Ducato è abituata a sorprendere: «È s’aggiudu torrau, l’aiuto restituito, trasferito nell’innovazione. Nel dna dei sardi c’è la capacità di collaborare, cos’altro è il sostegno nel momento della difficoltà?». E chentu concas chentu berritas? «Solo un pregiudizio, di cui liberarsi».

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