La Nuova Sardegna

Nella Barbagia di Ospitone un’isola che ancora resiste

di Giacomo Mameli
Nella Barbagia di Ospitone un’isola che ancora resiste

Dal pecorino verticale al “turismo folle”, ecco come a Seulo si combatte lo spopolamento

13 maggio 2017
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Non ci pensano proprio di scomparire «né fra trent’anni né fra tre secoli», scandisce Dante Ghiani, che di anni ne ha 89: «Da quando avevo i calzoncini corti lavoravo nelle miniere di Funtana Raminosa, ci andavo scalzo per non consumare le scarpe che usavo solo in galleria. Qui sono rimasto e qui vivo bene». Patrizia Moi, 46 anni, vicesindaco e albergatrice dell’hotel-ristorante Miramonti: «Siamo il cuore delle zone interne, la nostra è la Barbagia che è stata anche di Ospitone, viviamo in un territorio blue-zone di centenari, dobbiamo solo portare a reddito lo splendore delle nostre campagne, le piscine del Flumendosa guardate dalla punta di Monte Perdedu, dare alla nostra gastronomia un plusvalore che forse abbiamo sottovalutato». Ancora: «Se adesso le presenze sono poco più di duemila all’anno possiamo raddoppiarle, anche quintuplicarle. Occorre solo, in tutti i paesi, città comprese, professionalizzare al massimo l’accoglienza. E noi ce la stiamo mettendo tutta perché il nostro futuro si chiama ambienteA. Le strutture ci sono con tre agriturismo (Ticci dal nome di un altipiano, S’Armidda che è il timo, Su Zippiri cioè il rosmarino). C’è un agricampeggio nella zona di Taccu, un secondo ristorante pizzeria “I nuraghi”, due b&b (“Su lugori”, cioè l'alba, e “Su meriàgu”, che è il gazebo delle greggi sotto lentischi o lecci).

TURISMO ESTREMO. Turismo quindi. Anche quello fluviale, il Flumendosa merita le note di “Ol’ Man River” di Paul Robeson, le piscine tra “Sa stiddiosa” e l’incanto di “Su stampu ’e su turnu” sono già un potente richiamo per escursionisti. Nel 2004, sponsor Andrea Murgia, funzionario di punta a Bruxelles, nasce il primo Eco-Museo della Sardegna, battezzato proprio “Alto Flumendosa”. Ha otto soci, presidente Maria Elena Locci, coordinatore Giovanni Ghiani: «I visitatori delle grotte carsiche e delle domus de janas, delle cavità abbellite dall’arte rupestre oggi superano le 2.500 unità, ma è evidente che questo numero può e deve crescere. La Pro loco si sta lanciando nel cosiddetto turismo folle, quello da parapendio e similari. Ma è evidente che lo spopolamento dei paesi dell’interno si combatte innovando attorno all’accoglienza». Paola Ponti: «Noi ci crediamo. Anche perché la salubrità delle nostre campagne sta facendo rifiorire una zootecnia di qualità». Eccellenza che deve finire a tavola. Patrizia: «Basta con i soliti culurgionis e maialetto. Possiamo offrire anche altri piatti, dai minestroni, ai succhittus, la carne di capra, i nostri dolci. La cucina semplice e genuina è molto apprezzata. Molti turisti tornano per mangiare il minestrone, lo prenotano. E guai a pensare di usare i minestroni surgelati».

PRODUZIONI VERTICALI. Allevamento ovino e caprino con l’obiettivo di «trasformare il latte in formaggio e venderlo direttamente. E così restiamo in paese». Ne sono convinti giovani e meno giovani, «basta col versare il latte ai caseifici, dobbiamo essere in grado di verticalizzare le nostre produzioni». Mentre col padre prepara alcune forme di pecorino nella sua azienda di “Bau Asei” vigilata dal cane maremmano Flochi, Marco Loddo, 27 anni, elogia «i formaggi che profumano di timo e di altre erbe selvatiche. Occorre però diversificare anche i prezzi, i consumatori capiscono che c’è differenza tra un formaggio standard, certamente buono, ma ben altro gusto si assapora con quello fatto con latte di pecore o capre che pascolano tutto l’anno su terreni oltre i settecento metri e non conoscono intrugli chimici». Ragiona così Luca Murgia saltellando tra i muretti a secco di S’enna ’e moris. Prepara una rarità, «Su casu in filigi», il formaggio avvolto nelle felci che gli trasmettono un gusto unico. «Da due anni trasformo in proprio e incasso di più. E posso vivere, certo senza lusso, ma vivere sì. E sto dove sono nato». Ragiona così anche il più giovane dei pastori, Vincenzo Ghiani, 20 anni, pecore al pascolo a Taccu 'e Ticci. Ed è benedetto da Luigi Moi, senior dei pecorai, 80 anni tra i profumi montani di Nudurèi.

QUELLI CHE RESISTONO. Non solo green economy. Adriano Mulas, assessore ai lavori pubblici, 49 anni, «ultimo di dieci figli», oggi coordina quattro cantieri (sistemazione di piazze). Ma l’edilizia continua a essere vitale con le imprese capitanate da Olivio, Alfonso, Antonio, Vincenzo Murgia (il 45 per cento dei cognomi del paese), da quelle di Duccio Carta e Francesco Locci. Lavorano anche nei paesi vicini, arrrivano a Cagliari e Lanusei. Sabato è giorno di mercato e il parco attorno al Comune è popolato da bambini e anziani. Tanti settantenni e ottantenni guidati dall’ex minatore Ghiani. Ce n’è una schiera che «non crede alla morte del paese». Lo dicono Antonio Agus che ha 76 anni e ha vissuto tra imprese e cantieri di rimboschimento, Gianni Locci “de Prochittu”, ex pastore-operaio, Mario Murgia che ha vissuto «di pecore e di capre, ma anche di qualche cinghiale», Dionigi Loddo trattorista in pensione, Cosimo Locci ex falegname («ho chiuso bottega perché le tasse erano troppe e il lavoro in calo costante»). Per strada Luisa Murgia, 28 anni, disoccupata: «Qualche volta ho lavorato in agenzie turistiche, ma la busta paga è un sogno». Elisabetta Deiana, 30 anni: «Lavoro in un pastificio-panetteria, il nostro moddizzosu è molto apprezzato, idem il pane bianco e i biscotti con le noci». Roberta Ghiani, 43 anni: «Mio marito, gommista, è stato licenziato, lavoro a ore con gli anziani, 200 euro per sette ore settimanali, ma da Seulo non me ne vado». Un negozio di alimentari è gestito da Giovanna Ghiani, 67 anni e dalla figlia Michela: «Sopravviviamo solo perché c’è la pensione, diversamente sarebbe impossibile. Ieri, a fine giornata, avevo emesso 43 scontrini fiscali». Si lamenta e non poco il barista-edicolante-gelataio Giancarlo Locci di 62 anni: «Il paese è morto, per noi commercianti Seulo era un paradiso, negli anni novanta incassavo 600 mila lire in media al giorno, adesso non arrivo a 150 euro».

I SERVIZI CI SONO. Funzionano le scuole materne, le elementari, le secondarie. Carabinieri, banca, poste, farmacia e guardia medica. Il parroco in condominio con Sadali. Gli abitanti, 1772 nel 1961, passati a 1076 trent'anni dopo, oggi sono 830. Il sindaco è un ingegnere, Enrico doverosamente Murgia, 50 anni, funzionario regionale, ex comandante della stazione forestale di Seui. Crede nel futuro turistico-agropastorale: «Tra impiegati e operai abbiamo uno zoccolo resistente di quaranta buste paga nei cantieri forestali e questo è ossigeno puro. Altro punto di forza è la zootecnia con poco più di cinquanta aziende che ormai tendono alla innovazione ma soprattutto all’autoproduzione. Credo che l’integrazione fra ambiente e pastorizia sia vincente anche perché i giovani amano restare nel paese dove sono nati e vivono».

IL BACK. Insiste il sindaco: «Da noi, nel fine settimana, sono molti gli abitanti che rientrano e il paese è più vivo. Tutti fanno il back perché nessuno si vuol rassegnare alla scomparsa del paese. Ci sembra una bestemmia: reagiremo casa per casa, il nostro dna è lo stesso di Ospitone, siamo resistenti». Segretario comunale è Pino Loddo, 60 anni, sindaco da quattro legislature di Villanovatulo che si affaccia sul grande lago del Flumendosa tutto anse verso le vallate di Nurri e Orroli. Loddo legge lo spopolamento nella duplice veste di burocrate e politico: «Amministriamo solo con leggi peggiorative, ne piovono nuove che modificano d'un botto le precedenti».

PROVINCE. Per finire una telenovela grottesca. Seulo, legato a Nuoro, è passato alla provincia dell’Ogliastra slabbrata tra Lanusei e Tortolì, poi transitata a Cagliari diventata città metropolitana fantasma. Da poco un referendum (415 i votanti) ha deciso col 95,6 per cento di tornare a Nuoro (voti 397). Ghiani, l’ex minatore: «Dovevamo scegliere fra la Provincia più inquinata d’Italia e la più ricca di eccellenze naturali. Abbiamo scelto Nuoro, che vuol dire Barbagia di Seulo».

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