La Nuova Sardegna

Al caffè del silenzio il mondo si dissolve

di Alessandro Marongiu
Al caffè del silenzio il mondo si dissolve

Da oggi in edicola con il giornale il romanzo di Giorgio Todde

19 maggio 2017
4 MINUTI DI LETTURA





di Alessandro Marongiu

In un romanzo dai tanti personaggi principali come “Al caffè del silenzio” di Giorgio Todde – da oggi in edicola con la Nuova Sardegna nella collana “Maestri sardi del giallo” – ce n’è uno che è più principale degli altri. Non solo, o non in particolare, per ciò che fa, ma per ciò che rappresenta, all’interno di una storia che pagina dopo pagina è tutta giocata su rimandi a significati ulteriori, tanto che chi ha parlato, per questa e per altre opere dello scrittore cagliaritano, di noir “metafisici” ed “esistenziali”, lo ha fatto a ragion veduta. Questo personaggio è il Maestro orologiaio Osvald Thurn, le cui mani sono «molto più giovani di tutto il resto» del suo corpo: è con quelle mani che lui «spiega e risolve la propria esistenza», tesa a raggiungere la perfezione che quando è a lavoro sa trasferire, tramite una capacità artigiana quasi innaturale, a bilancieri, spirali e molle.

Non si tratta solo di fabbricare o rimettere in sesto orologi, naturalmente: la posta in gioco è molto più alta. Dice Thurn: «Riparare significa continuare il tempo e cercare le origini del tempo, come scavare la terra e cercare le origini arrivando al nucleo di fuoco. È un’azione pura e assoluta. Si restituisce l’origine delle cose erigendo di nuovo monumenti che noi rifacciamo ogni volta più perfetti. Monumenti minuscoli e perfetti». E che devono non fermarsi mai, perché l’immobilità suggerisce alla nostra mente l’idea di un guasto, di un guasto grave. L’aspirazione ultima è quindi sconfiggere con la perfezione dei meccanismi la finitezza dell’uomo: ma è un’aspirazione destinata a rimanere tale, perché la finitezza dell’uomo si può solo sfidare, mai sconfiggere.

Ed ecco infatti che a fare da contrappeso alla precisione quasi divina del Maestro e dei suoi due giovani allievi Wolf e Matteo, nel romanzo c’è una vera e propria esplosione di emozioni, sensi, umori e colori supremamente umani. Benedetta, respinta a tredici anni da Wolf, di cui continuerà comunque a essere innamorata, diventa completamente rossa, dalla testa ai piedi; il suo cane Robin infrange il codice canino e la “tradisce” dopo aver sentito l’odore che la rivale in amore Uterina ha ereditato dalla nonna Saveria, un odore capace di attirare verso l’una e l’altra i maschi e affamarli; da ultimo ci sono i suoni delle parole: di tante, tantissime parole.

Fortunatamente però c’è anche un luogo dove ci si può rifugiare per riaversi dagli eccessi verbali delle interazioni quotidiane: «Al Caffè del silenzio i vetri sono doppi e tutti stanno seduti da soli o in due, lo impone la regola. La regola al Caffè del silenzio è il silenzio. È un voto obbligatorio anche per le coppie. Non ci sono dolci e la musica è sotto la soglia dell’udibile. Ci vanno tutte le teste riscaldate dal dolore e dalla tristezza che con le parole non ce la fanno più. Nelle tazze solo caffè allungato perché le sostanze che alterano i nervi moltiplicano, di solito, le parole. Al Caffè del silenzio si ritorna agli inizi della specie, quando, incapaci di dire, si esprimevano idee e sentimenti con un minuscolo movimento del sopracciglio, delle labbra o di qualsiasi parte della faccia. Ma senza gesti sgraziati, più chiassosi della voce».

Lo frequentano, questo caffè così speciale, il pubblico ministero Veronese, «profilo tagliavento» e «orecchie grandi che fanno da imbuti per le parole», che di rispettare gli obblighi del locale non ne vuol sapere e alla seconda infrazione viene messo alla porta per sempre; il sovrintendente capo che lavora con lui, Malleolo, uno che all’improvviso si materializza come dal nulla in un certo punto dello spazio, per via di una mollezza grazie alla quale «appare e scompare come un corpo deformabile passando attraverso interstizi e fessure»; e poi ancora Silvano Pandimiglio, «faccia da felino addomesticato e arreso che di carne mangia solo quella in scatola», che un quiproquo lessicale conduce alle dimissioni dalla Polizia, ma che con il suo «ragionare tortuoso» sarà il primo e il più efficace nel provare a risolvere il mistero dell’omicidio di Matteo e del decesso, forse conseguenza di un crimine, di Saveria.

“Al caffè del silenzio” è un romanzo in cui la personalità dell’autore risalta con forza. Il libro, uscito in prima edizione nel 2007 per Il Maestrale, non mancherà di coinvolgere gli appassionati di trame d’investigazione in senso stretto, ma risulta essere una lettura aperta e consigliabile a chiunque, in virtù dei tanti spunti che è in grado di regalare e di una scrittura eccellente, in cui ai toni perentori delle riflessioni sul Tempo e sull’Eterno di Osvald si alterna una costante ironia che investe protagonisti e vicende (esilarante il racconto dello Scartino). E poi c’è l’Amore: perché chi non si accontentasse di una narrazione riguardante la ricerca del colpevole e volesse andare più a fondo tra le righe di “Al caffè del silenzio”, scoprirebbe che tra i tanti temi c’è anche – soprattutto – l’Amore. Vincolato, come altrove in Todde, al tema della Morte, ma in ogni caso preponderante. Per un verso o per un altro, si muove tutto da lì: cuori, gambe, mani, pensieri. E rotelle e lancette di orologi.

In Primo Piano
Sanità

Ospedali, Nuoro è al collasso e da Cagliari arriva lo stop ai pazienti

di Kety Sanna
Le nostre iniziative