La Nuova Sardegna

Tuvixeddu, nuova vita dopo il lungo oblio

di Daniela Paba
Tuvixeddu, nuova vita dopo il lungo oblio

Viaggio nella necropoli ampliata e riaperta ai visitatori

20 maggio 2017
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CAGLIARI. Raddoppiata la superficie, ripristinati i camminamenti, realizzate un paio di zone verdi, il Parco di Tuvixeddu esiste finalmente. È aperto ed è possibile visitarlo con una passeggiata che inizia all'ingresso su via Falzarego e s'inerpica, su per il colle, attraverso la necropoli punica che, se non sarà la più grande del Mediterraneo, sicuramente è assai suggestiva posta com'è al centro di Cagliari. La storia del colle intreccia lo sviluppo urbano e la visita archeologica restituisce lo sguardo sulla laguna di Santa Gilla che aveva incantato gli antichi, ma anche le ferite inferte al paesaggio dall'edilizia sregolata del secondo dopoguerra, lo sfruttamento intensivo dell'industria del cemento, il più recente compromesso tra interesse pubblico e privato di cui la battaglia legale per la realizzazione del parco custodisce memoria.

CALCARE RESISTENTE. Il calcare che forma Tuvixeddu, spiega una guida volontaria durante l'inaugurazione in occasione di Monumenti aperti, risale al Miocenico, è resistente ma si taglia bene, e le tombe - ormai ben visibili nell'area ripulita - risaltano nitide, scavate (quasi sempre) nella stessa direzione, guardano alla laguna e al mare dove tramonta il sole. Quasi che i morti volessero essere seppelliti, come nella canzone delle Negresses vertes, face à la mer, di fronte al mare. In realtà, come spiega la guida: «L'orientamento delle tombe è dovuto al fatto che in direzione est-ovest c'è la parete più resistente, qui detta legge la roccia». Il percorso restituisce la linearità degli scavi nella roccia, segna la direzione dell'acquedotto romano che dal II secolo portava l'acqua da Villamassargia attraverso la città, ne evidenzia la valenza paesaggistica, botanica e archeologica insieme. Tanto più preziosa se si pensa la necropoli violata "in antico", è stata sfruttata come cava dalla fine dell'Ottocento fino a ieri, si è trasformata in luogo abitato dagli sfollati in tempo di guerra, è rimasta a lungo abbandonata, rifugio di prostitute e tossicodipendenti ma anche discarica per i residui inerti dell'attività edilizia. Il belvedere risale il colle lungo il dirupo che segna il confine col parco di villa Mulas-Mameli dove si affacciano gli alberi giardino in abbandono, e dai punti più alti la vista panoramica della città gira a 360°.

OLTRE MILLE TOMBE. La necropoli punica e poi romana, attiva dalla fine del VI secolo a.C. al II secolo d.C. conta più di mille tombe, costituite da un pozzo verticale che dava accesso alla camera sotterranea,quasi sempre singola, che, una volta deposto il defunto, veniva chiusa con una lastra di pietra e sigillata, il pozzo riempito, perché nessuno avesse a disturbare il sonno dei morti. Nelle tombe meglio conservate sono visibili elementi decorativi scolpiti a bassorilievi con crescenti lunari, il segno di Tanit, il serpente alato degli egizi, Medusa, la Gorgone greca. Un simposio degli dei che fa pensare al senso sincretico del sacro di fenici, punici e sardi, popoli del mare che mescolando i loro dei raddoppiano il senso di protezione e l'inviolabilità del trapasso. Nelle camere sono visibili le nicchie che ospitavano il corredo funebre fatto di oggetti personali, piatti e bicchieri per accompagnare l'ultimo viaggio. Due le tombe segnalate: più importanti, perché affrescate, quella dell'Ureo e quella del Sid che nelle pareti riporta l'immagine del dio guerriero col pugno alzato, il Sid Addir sull'altra riva del Mediterraneo, Babay Sardus pater per noi. Peccato che per vederle, anche solo riprodotte, bisognerà aspettare: i pochi affreschi rimasti sono stati asportati e quando la soprintendenza per proteggerli dai tombaroli e dai vandali ha chiuso l'entrata col cemento, essendo cambiato il microclima interno, in buona parte si sono sbriciolati.

LE CAVE. Lo sfruttamento intensivo del sito utilizzato come cava è reso evidente dallo sbancamento di quello che chiamano “catino”, dalle sezioni di tombe tagliate di netto, dal canyon che serviva come camionabile a muovere le pietre dal colle alla laguna e al mare. Allora, per fare veloce, si andava di mine e così è emerso il cimitero romano che si allunga su Sant'Avendrace verso la Grotta della vipera, o l'acquedotto romano. Qui pure le strutture di ferro e cemento in abbandono che punteggiano il paesaggio possono vantare il fascino dell'archeologia industriale, la periferia caotica su cui sfociano le strade statali 130 e 131 trova il suo perché nella fame di case del dopoguerra. Qui lo sguardo segue d'istinto la linea di confine tra cielo, mare, laguna ma s'infrange sulle “Zunk-Tower”, come chiamano gli ambientalisti il complesso edilizio su via Santa Gilla che prosegue fino al grande centro commerciale costruito sulla laguna, sopra la città fenicia, un unicum anche lui, probabilmente. Visti di lassù appaiono alti e ingombranti oltremisura. Segno di un compromesso tra pubblico e privato dove, anziché continuare a cucire, come insegnano i fenici e punici, il rapporto tra la città e la laguna, si è proceduto a strappare brandelli di paesaggio.

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