La Nuova Sardegna

Delitti, briganti e un filo con l’Africa coloniale 

di Alessandro Marongiu
Delitti, briganti e un filo con l’Africa coloniale 

In edicola il romanzo “L’altro mondo” di Marcello Fois

30 giugno 2017
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Il terzo romanzo con protagonista l’avvocato-poeta Sebastiano Satta nelle vesti di investigatore, “L’altro mondo”, uscito per la prima volta in coedizione tra Frassinelli e Il Maestrale nel 2002, e in edicola da oggi con La Nuova Sardegna per la collana “Maestri sardi del giallo”, ci mostra il Marcello Fois che vorremmo sempre leggere. Siamo davanti, probabilmente, alla miglior riuscita in assoluto del nuorese, per via del perfetto equilibrio tra una scrittura lirica ed evocativa, sempre sostenuta, e la materia narrativa carica di peso specifico, che una simile scrittura giustifica in pieno – non così succedeva in alcune prove precedenti e non così è successo in alcune delle successive, in cui l’uno o l’altro elemento, per eccesso o per difetto, creava spesso un percettibile scompenso.

La lingua, del resto, non potrebbe essere la stessa dei due primi capitoli, “Sempre caro” e “Sangue dal cielo” (usciti rispettivamente il 5 e il 26 maggio scorsi), perché differente è la Sardegna che qui viene raccontata. Dei bei luoghi in cui Bustianu amava passeggiare per ritagliarsi uno spazio suo proprio nella solitudine della natura, lontano dai pensieri di ogni giorno – il lavoro, la crescente insofferenza per la convivenza con la madre Raimonda –, da un certo momento in avanti in “L’altro mondo” rimane scarsa traccia. Esattamente da quando Sebastiano, il suo aiutante Zenobi e il maresciallo Poli, alla ricerca di notizie sull’omicidio della povera Elène Seddone, rinvenuta senza lingua e senza mani, raggiungono il punto in cui il paradiso pare essersi tramutato inferno: «È una zona d’incanto, intatta, congelata in una limpidità di cristallo. Un boschetto di tassi coperto al passaggio degli uomini. Inspiegabilmente morto, putrescente». Il terrore pervade il loro animo, e per il silenzio e la calma irreali, lì dove dovrebbero trionfare incontrastate la vita selvaggia e le sue manifestazioni, e per quello, di inaspettato e orribile, che vi trovano. L’immagine di Fois è di rara efficacia e suggestione: non anticipiamo altro, lasciando la scoperta al lettore. Con Satta in testa, i tre dovranno cercare di capire perché la giovane Seddone sia stata assassinata; chi stia cercando di incolpare del delitto il famigerato Dionigi Mariani, che si nasconde con una ventina dei suoi nel cuore della Barbagia e che si dichiara però completamente estraneo alla macabra uccisione; chi stia ordendo oscure trame criminali alle spalle di tutti, attentando anche all’incolumità di Satta e Poli. Soprattutto, cosa unisca la Sardegna all’infausta avventura coloniale italiana in Africa, in uno sviluppo del romanzo che guarda sì alla Storia ma che ci parla anche chiaramente, purtroppo, del nostro presente: come che il tempo fosse passato invano.

Sullo sfondo di tali vicende, due ulteriori problemi per Bustianu, uno collettivo e uno personale. Quello collettivo concerne le leggi speciali emanate dal governo per combattere il banditismo a seguito dell’inchiesta di Francesco Pais Serra: mentre è in tribunale per discutere «una causa che non gli piace: parenti di latitanti accusati di favoreggiamento. Arrestati perché non collaborano», s’abboca’ non riesce a trattenersi e sbotta: «Ora lo Stato, con le leggi speciali, ci dice che è un suo dovere, in nome della giustizia, essere sullo stesso piano, ma io dico peggiore, di colui che l’offende. Una bestia sanguinaria commette razzie, sequestri, omicidi e noi che facciamo? Gli arrestiamo le madri, le mogli, i figli piccoli per costringerlo a venire allo scoperto. Diventiamo suoi compagni, membri della sua banda, parliamo lo stesso linguaggio: a sequestro rispondiamo col sequestro, perché sequestrati sono le madri, le sorelle, i figli, che vediamo dentro alla gabbia degli imputati. A questo ci hanno ridotto, così sperano di insegnarci qualcosa». Il problema personale fa agitare Bustianu ancor più di quello collettivo. Gli spezza i nervi, lo riduce in lacrime, nel buio di una stanza. Non che per questo lui si senta di arretrare. Se già gli scambi con Remunda sono difficili per via di un temperamento fin troppo simile, Bustianu decide di ricorrere alla prova di forza per presentare alla madre la donna che ama, la sua promessa sposa Clorinda: il risultato, inevitabilmente, è una disfatta. Raimonda abbandona l’abitazione comune e si rifugia, per non dire rinchiude, in casa dell’altro figlio. Davanti a questa situazione, il tratto caratteriale forse principale dell’autore dei “Canti barbaricini”, quella «tendenza speculativa» che dalla giovinezza è per lui dono e maledizione assieme, è inerme. Spazio per il ragionamento a mente fredda, per la lucidità, non ce n’è.

Gli resta un’unica cosa da fare, la solita: «Si alza e scrive, come sempre. Come sempre butta giù qualcosa alla luce del lume, frasi qualunque di terra e di cielo, e di amori che hanno albergato al chiuso del suo corpo sotto specie di dolori silenziosi e di voci che hanno cantato in un coro muto e di sangue che sgorga dal centro trafitto del tramonto e di uomini che urlano nel deserto… Poi si vedrà, intanto la cura fa il suo corso, la scrittura entra in vena. Anche per stanotte non si muore». La notte passa, e arriva il mattino.

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