La Nuova Sardegna

Tra storia e autobiografia lungo i sentieri dell’identità 

di Daniela Paba
Tra storia e autobiografia lungo i sentieri dell’identità 

Dal 21 luglio il romanzo “L’uomo che volle essere Peròn” di Giovanni Maria Bellu L’autore: «Fiction ma anche inchiesta, coi metodi del giornalismo investigativo»

07 luglio 2017
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Ogni volta che la storia di Piras-Perón, con cui s’identifica nel dittatore Juan Domingo Perón, Giovanni Piras emigrato in Argentina all’inizio del Novecento, sembra definitivamente archiviata, la leggenda riprende e produce nuovi romanzi. L’ultimo, di Luisa Valenzuela, è “La Maschera sarda. Il profumo segreto di Perón”, nato dal viaggio della scrittrice argentina a Mamoiada. Nel frattempo “L’uomo che volle essere Perón”, di Giovanni Maria Bellu, è fuori catalogo. La sua ristampa per la collana “Maestri sardi del giallo” (il libro sarà in edicola con La Nuova Sardegna il 21 luglio) diventa l’occasione per discuterne con l’autore a distanza di tempo.

La leggenda Piras-Peròn genera miti. Quali elementi, secondo lei, la rendono così universalmente affascinante?

«L’inchiesta del protagonista del mio romanzo parte da un moto d’incredulità: quando vede in libreria un saggio sul tema pensa a una bufala. Lo compra per farsi quattro risate ma, man mano che accumula la lista d’indizi, si convince che la cosa è seria. Il giornalista – che non sono io anche se, com’è inevitabile mi somiglia molto – non è uno di primo pelo, né uno che casca facilmente nelle trappole. È un giornalista investigativo molto scafato ma incontra questa storia in un momento di particolare fragilità: è appena morto suo padre. Così lui, che vive a Roma, torna a Cagliari e mentre sistema la casa, sposta i mobili, ed è, naturalmente, molto triste, comincia a leggere il libro e decide di fare una vera inchiesta coi metodi del giornalismo investigativo. Così andrà in Argentina, cosa che ho fatto seguendo le orme del personaggio. L’inchiesta è alimentata non solo da indizi e coincidenze sorprendenti, ma anche dal fatto che la morte del padre lo riporta ai ricordi della sua infanzia, della sua relazione con lui. E siccome la Sardegna è piccola, quando va nel paese del Nuorese che io chiamo Arasolé ma potrebbe essere Tonara o Sorgono, un paese qualunque della Sardegna, frugando nelle carte del vecchio avvocato trova un fascicolo con dentro delle note che connettono suo padre alla leggenda. Questa coincidenza lo convince a indagare ancora e per paradosso incrocia l’ambiente che conosceva bene da giornalista esperto di misteri d’Italia».

E così incontra Licio Gelli...

«Gelli in Italia, colui che meglio di tutti conosceva Peròn: ne era amico personale. Infatti ho incontrato Gelli e lo racconto nel libro: ero andato fingendo d’essere convinto di questa storia leggendaria e lui non mi ha smentito, non mi ha detto “No, guardi è impossibile”, me l’ha lasciata credere, perché forse piaceva anche a lui».

Il suo è un giallo che sfugge alla gabbia del genere: c’è l’epica del Novecento, il filone storico e quello autobiografico. Wu Ming lo mette tra gli esempi di new epic…

«In effetti “I soldati di Salamina” è stato per me un testo di riferimento. Se si dà al giallo un’accezione restrittiva, il mio libro non è un giallo: tuttavia c’è una trama con finale a sorpresa, c’è la ricerca di uno scomparso. Avevo scritto anni prima “I fantasmi di Portopalo”, che entrò, in quanto romanzo, tra i finalisti al premio Vittorini. L’avevo scritto in prima persona, un anno dopo l’inchiesta di Repubblica. Avevo descritto le emozioni del narratore che ero io, la sua educazione e formazione. Ho capito allora che mi è congeniale utilizzare la prima persona e raccontare fatti veri. Anche qui i fatti storici descritti sono tutti veri. La parte del racconto fantastico scaturisce dall’incontro del narratore coi fatti indagati. In “L’uomo che volle essere Peròn” il narratore racconta un modo di intendere e vivere la Sardegna per chi è andato via. Quindi è un doppio romanzo dell’emigrazione, perché il narratore è un emigrato che torna, Piras è un emigrato che non torna».

Il viaggio del sardo emigrato diventa un elemento antropologico: quale sentimento identitario percorre il libro?

«La leggenda di Piras-Peròn da questo punto di vista è fantastica: è una parabola che contiene quello che c’è in tutte le migrazioni. Anche oggi chi va via, magari muore durante il viaggio, ma quando parte sta pensando alle infinite possibilità della vita. Quest’idea era così condivisa che la sorella di Giovanni Piras, che non ha sue notizie da anni, quando, nel dopoguerra, Perón sposa Evita e diventa un personaggio internazionale, le sue foto sono pubblicate sui settimanali…, li vede ritratti nei giornali e dice “Ma quello è Giovanni Com’è diventato importante!”, si convince di questo e piange. Chi emigra sogna di diventare un personaggio importantissimo. Succede a volte: la forza simbolica del presidente Obama attiene a questo ambito perché quando le porte del mondo si aprono le possibilità sono infinite. E’ dunque una leggenda positiva che poi incrocia le miserie della quotidianità, le meschinità delle relazioni, le ambiguità della vita».



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